
La prima sorpresa è scoprire che Valencia non è una città di mare. E’, cioè, una città “sul” mare, ma non “di” mare. La Coppa America, il circuito di Formula 1 attorno al porto, le spiagge… Beh, arrivando l’idea era appunto quella di fare visita a una città che vive in maniera stretta il rapporto con il mare. E invece niente. Nessun lungomare, nessuna piazza affacciata sul Mediterraneo. No. Se di acqua si deve parlare, Valencia è in realtà cresciuta e si è sviluppata lungo il rio Turia, a un niente dal suo sbocco in mare. Peccato solo che anche il Turia adesso non esista più. E’ accaduto nel 1956: in seguito a una devastante esondazione he aveva creato danni enormi al centro storico, letteralmente avvolto da un’ansa del fiume, il corso del Turia è stato deviato. Il letto del rio è dunque stato trasformato in giardini, una lunga, sfruttatissima dai velenciani, striscia di giardini (jardines del Turia), e oggi i ponti che lo scavalcano sono affacciati dunque sul verde.
La seconda sorpresa è poi scoprire che Valencia, terza città della Spagna per numero di abitanti (circa 810mila, con l’area metropolitana un milione in più), è in realtà città dal centro storico tutto sommato piccolo e raccolto.
Infine, la terza sorpresa è quella di trovare una città meravigliosamente sospesa tra passato e futuro, tra il culto della tradizione e il gusto della sperimentazione, tra la difesa – a volte anche… indisponente (si pensi alle tabelle all’esterno di edifici pubblici e musei, dedicate quindi ai turisti, scritte soltanto in valenciano) – della propria cultura, che rischia di finire schiacciata tra quella castigliana e quella catalana, e il tuffo nella sperimentazione più ardita, rappresentata dalla Città delle Arti e delle Scienze – inno al grande architetto valenciano Santiago Calatrava – ma anche dai belli, arditi palazzoni dei quartieri moderni che si estendono da lì verso il mare.
Il Centro storico
Il cuore di Valencia è un reticolo di stradine che si aprono su piazzette di straordinaria, intima bellezza lungo l’asse che, partendo dalla stazione ferroviaria (la Estacion del Norte, proprio a fianco della Plaza de Toros) risale verso la piazza del Municipio (plaza de l’Ayuntamento) e quindi sale fino a plaza de la Reina (sulla quale si affaccia anche la cattedrale) per infine arrivare a una delle due torri rimaste della antica cinta muraria, la Torres de Serranos. Ecco, di qua e di là, a destra e a sinistra di questo asse si snoda la vita valenciana, a destra – verso il Turia (anzi, verso quello che un tempo era il letto del Turia) – quella più borghese dei bei palazzi aristocratici, delle sedi delle banche, dell’Università, dei negozi delle firme di moda e a sinistra invece l’anima più popolare, calda, anche sanguigna, del mercato coperto o, ad esempio, di plaza Redonda.
E allora partiamo proprio dalla Estacion del Norte (non dimenticando che i treni dell’Ave, l’alta velocità spagnola, partono e arrivano dalla vicina stazione Sorolla, a poche centinaia di metri in direzione opposta rispetto al centro città sul lato destro guardando la stazione), partiamo dalla Estacion del Norte perché è un piccolo gioiello modernista (è del 1917), decorata da mosaici in ceramica e dipinti murali. Una curiosità: sulle colonne del salone principale, quello delle biglietterie, sui mosaici treverete anche le scritte in mosaico con gli auguri di buon viaggio – una per colonna – nelle lingue più diverse, giapponese compreso. Insomma, anche se non c’è alcun treno da prendere, un salto in stazione va fatto assolutamente: ci si tuffa negli anni Venti e si immaginano viaggi emozionanti verso chissà quali mete!
Al fianco della Estacion, alla destra, la Plaza de Toros. Valencia è città profondamente taurina e in questo assomiglia molto più al sud andaluso che al nord catalano cui invece sembra guardare per mille altri aspetti della vita: non è un caso che il grande torero Josè Tomàs abbia scelto proprio Valencia, alla fine del luglio 2011, per il rientro alle corride dopo il grave incidente patito in Messico nell’inverno 2010. E allora se capitate a Valencia ad esempio a fine luglio, o comunque in stagione di corride (tutte le informazioni su www.mundotoro.com ) non potete non fare la coda ai botteghini e assistervi. Se non è stagione di corride (o se non ritenete di volervi assistere) una visita al Museo Taurino va comunque fatta: lo trovate in una galleria (Passatge del Doctor Serra) poche decine di metri oltre l’arena (questo l’orario: da martedì a domenica dalle 10 alle 20, proiezioni di un video molto crudo ma molto onesto alle 11, 13, 15, 17 e 19; entrata gratuita e all’ingresso vi daranno quattro pieghevoli, in spagnolo, fatti davvero molto, molto bene. Attenzione: il museo è chiuso in novembre, dicembre e gennaio). La visita comprende anche l’affacciarsi all’arena, anche se in altre Plaze de Toros famose forse è più completa, in quanto è possibile visitare anche le stalle ed è possibile scendere sulla sabbia dell’arena (il pensiero corre, ad esempio, a Ronda).
Bene, vista la stazione e vista la Plaza de Toros, ci si può avviare verso piazza del Ayuntamento, il municipio, piazza sulla quale – sul lato opposto – si affaccia anche il palazzo delle Poste: merita entrarci e alzare gli occhi… Quindi, tenersi sulla sinistra rispetto alla piazza e dirigersi verso la Torres de Quart: assieme alla Torres de Serranos è quello che rimane delle mura della città. Innalzate da Pere Bonfill sono un esempio di costruzione militare del periodo tardo gotico. Oggi, la facciata interna è stata “scoperta” per permettere di vedere l’interno (un tempo, per un certo periodo, anche carcere femminile) mentre arrampicarsi sulla scala a chiocciola fino alla terrazza superiore è fondamentale per ammirare il panorama della città dall’alto. La facciata esterna invece riporta ancora oggi i segni lasciati dalla cannonate francesi durante l’invasione napoleonica del 1800. A poche decine di metri dalla Torre, dopo aver imboccato calle Guillen de Castro, ecco l’Istituto valenciano di Arte Moderna (l’Ivam: aperto da martedì a domenica dalle 10 alle 20, ingresso 2 euro, la domenica gratuito): diciamo la verità, la cosa più bella è l’edificio stesso, più che le opere che vi sono conservate.
Torniamo verso il centro. Calle Alta, calle de Caballeros (una curiosità: in questa che era la principale via medievale della città su un paio di portoni ci sono ancora i vecchi batacchi delle porte collocati in alto, ad altezza di cavaliere cioè) e si arriva – dopo una sosta anche al piccolo museo che ospita le figure del Corpus – al palazzo della Generalitat, noi diremmo il palazzo della Regione, un bell’edificio dei primi anni del 1500. Alle sue spalle una grande piazza, plaza de la Virgen, al centro della quale si trova la fontana del Rio Turia. Sotto il sole d’estate in tanti si fermano al riparo degli ombrelloni dei bar che si affacciano sulla piazza o cercano refrigerio spruzzandosi con l’acqua della fontana. Ormai che si è qua si può prendere sulla sinistra e, passando davanti a un altro edificio medievale che ospita il tribunale, si arriva alla Torres de Serranos, gemella della precedente. E dall’alto si ha netta l’immagine di come al posto del fiume Turia oggi ci siano i giardini, con ai lati i grandi viali invasi dalle auto. Lì attorno è bello poi perdersi nei vicoli che portano in plaza del Carmen per poi magari riaffacciarsi in plaza de la Virgen, dove si trova anche la Basilica della Vergine, che raccoglie la devozione mariana dei valenciani.
Ma l’appuntamento cui non mancare in plaza de la Virgen è per le 12 del giovedì. Ogni giovedì che il buon Dio manda in terra, infatti, sullo spazio rialzato della porta degli Apostoli sul retro della Cattedrale a mezzogiorno in punto si ripete un rito gelosamente conservato da un millennio: la riunione del tribunale delle acque, che riparte la giustizia per mezzo di un processo orale in lingua valenciana le cui sentenze sono inappellabili. Il Tribunal de las aguas è l’unica struttura legislativa che rimane tra quelle stabilite da Giacomo I. Gli arabi praticavano già sistemi di irrigazione che il monarca stabilì formalmente basati sulla distribuzione delle acque del Turia. Ancora oggi la corte è formata da otto contadini che indossano una blusa nera, eletti ogni due anni dagli altri irrigatori. Siedono in circolo su sedie di cuoio, e a loro si rivolgono quanti hanno problemi nei campi. Una sorta di alabardiere invita quanti chiedono udienza a farsi avanti, chiamandoli due volte, area per area. Se nessuno si fa avanti tutto finisce lì e i giudici se ne vanno uno dietro l’altro, così come erano arrivati, riattraversando la piazza accompagnati dall’alabardiere.
La cattedrale (feriali dalle 10 alle 18, sabato e vigilia dei festivi dalle 10 alle 17.30, domenica e festivi dalle 14 alle 17.30; in estate tutti i giorni fino alle 18.30; ingresso 4 euro) conserva soprattutto al suo interno, nella cappella che fu aula capitolare, un calice in agata e oro (il santo Caliz) che si dice sia stato quello utilizzato da Gesù nell’Ultima cena. Insomma, il mitico Santo Gral. E osservarlo e pensare alla sua storia (alla fin fine non importa se vera o meno, è comunque bello crederci) regala una forte emozione. Volendo poi ci si può fare i 207 scalini del Miguelete (o Micalet, in valenciano, dal nome della campana delle ore, Miguel, o, appunto, Miquel) , la torre da cui ammirare la città dall’alto. Ma sono, ripetiamo, 207 gradini! La piazza su cui si affaccia l’ingresso principale della cattedrale – plaza de la Reina – non è poi chissà che, perché è il centro anche di tutto il traffico della città. Ma è soprattutto quel che c’è attorno alla piazza che val la pena goderselo fino in fondo. Un esempio? In piazza Santa Catalina si trovano le due horchaterias più note e antiche della città, appunto la Santa Catalina e la El Siglo (entrambe sorte nella prima metà del 1800), ed entrarci significa fare un tuffo nella storia e nella tradizione. La horchata, ovvero l’orzata, è una bibita lattiginosa fatta di mandorle, servita liquida o leggermente ghiacciata (“granizada”): a ogni angolo della città si trovano baracchini che la vendono e in estate rappresenta davvero un grande sollievo.
Ma rimaniamo su questo lato a ovest dell’asse centrale della città. Già, perché ci sono almeno altri tre punti che non possono essere dimenticati. Il più intimo è plaza Redonda, un gioiellino rotondo che al centro ha una “ruota” di baracchine dedicate all’artigianato, soprattutto tessile: non è difficile incontrare donne (e anche uomini) che lavorano al tombolo. Anche sotto gli archi dei portici che cingono la piazza, altre botteghe popolari. Un tempo però plaza Redonda era la sede del mercato, inizialmente degli uccelli, quindi del pesce (oggi è ancora mercato, la domenica mattina, di animali domestici). Mercato che ora si trova poche decine di metri più in là, in un edificio di stile modernista in ferro e vetro degli inizi del ’900 arricchito da ceramiche. Una vera esplosione di colori, di profumi, di suoni. All’interno, in questo vero proprio trionfo di azulejos, si trovano qualcosa come 949 punti vendita: vi si trova di tutto tra prodotti dei campi e di macelleria. Anche una bancarella che vende soltanto lumache! E’ il mercato ma è anche, ancor oggi, uno straordinario punto di incontro, dopo essere stato, nel passato, il centro in cui venivano letti i bandi, in cui venivano esposti i condannati alla pubblica vergogna, in cui si svolgevano anche corride e festeggiamenti. Il terzo centro di interesse della zona, il più nobile, è infine – a due passi dal Mercato – la Loggia della Seta, ovvero l’antica borsa (dal martedì al sabato dalle 9.30 alle 14 e dalle 17 alle 21, la domenica dalle 9.30 alle 14; ingresso gratuito), palazzo in stile gotico il cui salone appare davvero imponente con i suoi meravigliosi soffitti. I valenciani raccontano orgogliosi che si tratta de “el edificio civil gotico mas hermoso de Espana”. Nacque come Consolato del Mare per assumere via via diversi ruoli, tra cui il principale fu appunto quello di sede della borsa di commercio.
Tra l’asse centrale della città e quello che un tempo era il letto del Turia, invece, vie dai palazzi maggiormente imponenti, strade dai palazzi importanti (ad esempio Calle Paz) che spostano il baricentro verso plaza Porta del Mar, a due passi dal ponte de la Exposicion (disegnato anch’esso, manco a dirlo, da Calatrava). In questa fetta di centro città si trovano l’Università (in plaza del Patriarca) e in plaza del Patriarca, all’incrocio con calle Nave, il Colegio del Patriarca, nella cui cappella durante la funzione del venerdì mattina alle 10 il quadro del Ribalta dedicato all’”Ultima cena” viene spostato per dare spazio a una serie di tende che verrebbero a loro volta spostate durante la celebrazione per lasciar vedere un colossale crocefisso illuminato: si usa il condizionale perché il Pinguino si è presentato puntuale, ma alle 10 non c’è stato alcun rito e alla messa delle 11 nulla è accaduto. Nè alcuno ha saputo spiegargli alcunché.
Non lontano, alla destra della plaza de la Reina guardando verso la cattedrale, si trovano invece i Bagni arabi, i Banos del Almirante, nell’ominoma via al numero 3-5, www.banysdelalmirall.org (visite dal martedì al sabato con ingressi ogni mezz’ora dalle 10 alle 13.30 e dalle 18 alle 19.30; la domenica e i festivi solo la mattina, chiuso i lunedì, venerdì santo, 19 marzo, Natale e Capodanno). Una guida conduce quasi per mano i visitatori (a gruppi di massimo 15 persone) presentando prima un video e quindi illustrando i diversi ambienti, risalenti al 1313 e attivi fino al 1959, in spagnolo e in inglese: l’effetto è molto coinvolgente. Ma certo quello che più rimarrà impresso nella memoria del visitatore è il Palacio del Marques de dos Aguas, in una piazzetta affacciata, su un lato, su calle Poeta Querol: il portone in alabastro, realizzato da tal Hipolito Rovira (le guide sottolineano che morì pazzo, aggiungendo maliziose che, osservando quel portale, non è difficile capire perché…), beh, il portale toglie davvero il fiato, e il pensare che è stato realizzato nella prima metà
del 1700 è davvero un qualcosa capace di offrire una grande emozione: la sua incredibile (appunto: pazzesca) elaborazione al tempo stesso incute timore e suscita fascino. Non va poi dimenticato che all’interno si trova il Museo della Ceramica, che ha una simpatica caratteristica: in luglio e agosto è aperto anche il sabato sera dalle 20 alle 24 quando l’ingresso è gratuito, al pari della domenica (10-14; negli altri giorni, dal martedì al sabato, orario 10-14 e 16-20, 3 euro). Sempre su questo lato della città, ai margini diciamo così del centro storico, in plaza de Tetuan (unita a plaza Puerta del Sol da calle General Palanca) ha sede una importante caserma dell’Esercito. Ebbene, fu da questa caserma che nel 1981 prese le mosse il fallito colpo di stato tentato sotto la guida del generale Milans del Bosch, ed è quantomeno singolare che un colpo di stato militare sia comunque partito nella città che fu l’ultima a cadere nelle mani di Franco (o forse si spiega anche così il fatto che il tentativo di Milans del Bosch sia poi subito fallito…).
In periferia
Prima di lasciare il cuore della città per raggiungere le meraviglie firmate da Santiago Calatrava alla Città delle Arti e della Scienza, s’impongono due soste. La prima al Mercato de Colon in calle Cirilo Amoros, edificio modernista da poco restaurato: non c’è la vita, anzi: l’esplosione di vita, del mercato coperto in centro, e dopo la ristrutturazione è anche vagamente freddo, però non può essere ignorato. Oggi ospita qualche banco di pesce, qualche fiorista, qualche bar e poco altro. E poi, dirigendoci pian piano verso il mondo di Calatrava, il Museo Fallero, in una piazzetta, plaza de Monteolivete, che si affaccia sulla strada a grande scorrimento che costeggia i Jardines del Turia. Cosa sono le “fallas”? Semplice, le grandi realizzazioni, i grandi carri allegorici che vengono allestiti annualmente in occasione della festa di San Giuseppe (19 marzo) e delle celebrazioni che riempiono tutta la settimana precedente. Al termine della festa, alla mezzanotte del 19 marzo, esplode la notte dei fuochi, la “nit de fuc” (e infatti la parola “fallas” prende origine dalla traduzione valenciana di “fiaccole”) e tutti i carri vengono bruciati. Ma oltre ai carri vengono realizzati anche i “ninot”, i modellini. E il modellino del carro più bello dell’anno viene salvato dalle fiamme e ha l’onore di finire nel museo, a perenne memoria (visite: dal martedì al sabato dalle 9.15 alle 14 e, da aprile a settembre, dalle 17.30 alle 21 e da ottobre a marzo dalle 16.30 alle 20, la domenica dalle 9.15 alle 14; chiuso il lunedì, primo maggio, Natale e Capodanno; ingresso 2 euro).
La Città delle Arti e delle Scienze
Benvenuti nel futuro. La Città delle Scienze e delle Arti (www.cac.es) è la porta spalancata sul domani. E soltanto avvicinarsi riempie gli occhi di meraviglia e vale il viaggio fino a Valencia. Non a caso su un depliant il Pinguino ha trovato scritto che “la Città delle Arti e della scienza simboleggia la scommessa per il turismo culturale con cui la Comiunitad Valenciana si presenta al mondo”. Uno, due, tre, quattro edifici, tutti con la firma di Santiago Calatrava, ne fanno la meta per antonomia degli appassionati di architettura di tutta Europa. Ma non solo. Il parco futurista sorge a metà strada tra la città e il suo porto, adagiata sul lato destro dei Jardins del Turia. E il consiglio è proprio quello di arrivarci a piedi (visto che tra l’altro non esistono collegamenti con la metropolitana ed è davvero incredibile che non ci abbiano pensato), passeggiando lungo quello che un dì era il letto del fiume. Una mezz’oretta, è sufficiente. E a metà del tragitto, alla sinistra, si ammira anche il Palazzo della Musica.
Poi, poi si arriva e si rimane folgorati. Non esistono forse parole per raccontare quello che è riuscito a disegnare Calatrava.
Il primo incontro è con il palazzo delle Arti, inaugurato nel 2005, che ospita spettacoli teatrali, d’opera e di danza (visite guidate della durata di un’ora: verificate gli orari, a luglio sono alle 11.30 e alle 13).
Quindi, ecco l’Hemisferic, dalla stupefacente forma di occhio con tanto di ciglia a rappresentare l’occhio della sapienza. All’interno vengono proiettati film sfruttando la superficie a cupola: ecco, se proprio vogliamo trovare un neo, è nella qualità delle pellicole proiettate (il Pinguino ha visto quello dedicato alle missioni nello spazio, audio italiano), ben lontana dalle attese degli spettatori.
E poi, il Museo delle Scienze. All’interno una grande quantità di esposizioni interattive capaci di coinvolgere sia gli adulti che i ragazzi.
Dopo il ponte di Assut de l’Or, firmato anch’esso da Calatrava (che ricorda molto da vicino il ponte, sempre di Calatrava, che si trova a Siviglia) si arriva al Parco Oceanografico, quest’ultimo progettato da Felix Candela, considerato uno dei più grandi acquari del mondo e diviso in dieci zone: affascinanti sono i tunnel che si percorrono in mezzo all’acqua. Simbolo dell’acquario i beluga. Immancabile poi lo spettacolo con i delfini e i tuffatori che si lanciano da 25 metri (e anche le foche vanno il loro spettacolino a uso e consumo dei visitatori) ma molto interessante è assistere, al padiglione Mar Rosso, alla proiezione del filmato che spiega le caratteristiche dell’acquario, aiuta a capire dove si è capitati o, alla fine della visita, per fare – come dire – un riassunto delle esperienze vissute. Date poi un’occhiata al sito internet per scoprire le numerose iniziative organizzate dall’Oceanografic: la più curiosa è senza dubbio la possibilità offerta ai bambini e ai loro genitori di dormire all’interno dell’acquario, ma è anche possibile, tra l’altro, seguire per un giorno gli addetti che accudiscono i beluga o gli allenatori dei delfini.
Nella programmazione della visita calcolate che il Museo delle Scienze (aperto dalle 10 alle 21) merita almeno mezza giornata di visita (non pensate di cavarvela in ogni caso, anche in quello più frettoloso cioè, con meno di due ore) e praticamente altrettanto tempo lo reclama anche l’acquario, aperto dalle 10 alle 24 (controllate gli orari dello spettacolo dei delfini, la direzione consiglia di arrivare all’arena con 3/4 d’ora di anticipo, ma francamente è un po’ eccessivo: 15 minuti sono più che sufficienti). Attenti però agli orari delle proiezioni all’”Occhio” per incastrare al meglio il tutto. Il biglietto? Ovviamente sono previste diverse modalità e combinazioni. Per farvi un’idea sappiate che il biglietto complessivo (Hemisferic, Museo de las Ciencias e Oceanografic) costa 32,40 euro per gli adulti e 24,65 euro per i ridotti.
Il porto e la costa
Linea 5 della metropolitana, quella verde, dalla Estacion del Norte (stazione Xàtiva) fino a Maritim, il capolinea, quindi trasbordo sul tram (ricordatevi di convalidare il biglietto, soprattutto al ritorno, passandolo sopra un lettore che si trova all’esterno della vettura, vicino alle porte) e infino arrivo al porto e alla spiaggia. Il porto è la mitica sede della Coppa America 2007 e 2010 ma al momento della visita del Pinguino, estate 2011, la sensazione di abbandono è stata davvero desolante. Tutto attorno al bacino vi sono infatti ancora i cubi colorati che ospitavano i vari sfidanti ma oggi sono mestamente abbandonati a se stessi. Due soli i segni di vita. Al capannone di Alinghi è ancora aperto (tutti i giorni, dalle 10 alle 14 e dalle 16 alle 20) lo store con il merchandisind della formazione svizzera, ovviamente in saldo (fino a esaurimento delle scorte?). Inoltre sul fronte centrale del bacino c’è una sorta di museo, la “casa della coppa America” (ingresso gratuito), nel quale a inchiodare il visitatore è soprattutto un filmato molto spettacolare, tutto da gustare (ma non è previsto l’audio in italiano). Il brutto è che i cubotti colorati ma abbandonati della Coppa America, direttamente affacciati sul mare, nascondono i vecchi silo del porto, costruzioni della prima metà del Novecento che corrono lungo tutto un lato del bacino, ricche del loro fascino demodèe. Oggi sono abbandonate anch’esse. Anzi, no: riprendono vita una settimana all’anno, quando Valencia ospita il gran premio di Formula 1 e diventano i box di fronte alla linea di partenza. Per terra, sull’asfalto, le linee della pista, in mezzo – tutto il resto dell’anno – blocchi di cemento che disegnano la viabilità quotidiana. E abbandonato a se stesso è un altro edificio straordinario per bellezza di linee, affacciato sul mare proprio all’imbocco del canale che porta al bacino, il Palazzo delle Vele e del Vento. Le immagini dei giorni della Coppa America ce lo restituiscono brulicante di folla, attivo con i suoi uffici e i suoi ristoranti. Oggi, tutto è abbandonato. Oltre, una serie di bar alla moda – questi sì aperti e superfunzionanti – introducono invece alla spiaggia.
All’inizio è chiamata playa de Levante, quindi diventa playa del Cabanyal e infine è la playa de Malvarrosa. La spiaggia è bella larga, di sabbia sottile sottile, il mare invitante. Vi sono aree attrezzate e altre libere, dove distendere l’asciugamano per godersi il sole. I poliziotti la sorvegliano muovendosi su agili quad, il servizio di salvataggio in mare sembra degno di baywatch, tutto insomma è supermoderno. Alle spalle della spiaggia la passeggiata è chiusa, all’interno, da un’infinita serie di locali: bar ma soprattutto ristoranti, ristoranti e ristoranti. Insomma: nemmeno un negozietto, tutti solo ristoranti. E pochi bar. O comunque ristoranti che nelle ore in cui non si mangia funzionano come bar.
Come muoversi
Lo si sarà capito. Valencia è città da vivere a piedi. Per cui sceglietevi un albergo in centro (o, ad esempio, nella zona della Estacion del Norte) e non toccherete più la macchina (se siete arrivati in macchina) nè salirete su un autobus. Al limite, la bicicletta: sì, val la pena noleggiarne una per farsi una passeggiata pedalando lungo i Jardins del Turia per goderseli appieno (ma c’è solo una – fastidiosa – controindicazione: le mosche. In estate, lungo i giardini impediscono al visitatore il relax totale, ma i valenciani sembrano nemmeno accorgersene: boh…). La metropolitana (ultima corsa a mezzanotte) è invece utile per andare al mare o per andare in aeroporto: tenete presente che il viaggio in questo caso dura 23 minuti e che i trenini non sono frequentissimi per cui potete aspettare anche un quarto d’ora. Visto che poi all’aeroporto c’è il rischio molto concreto che la vostra compagnia aerea abbiamo un solo banco aperto per il check-in con code quindi indescrivibili, partite per tempo dal centro! Il taxi dall’aeroporto al centro città costa circa 20 euro.
Mangiare
Innanzitutto, quando. Perché a Valencia non si pranza mai, e sottolineo mai, prima delle 14. Il Pinguino ha mangiato un paio di volte, con grande soddisfazione, al ristorante Aries (calle Embajador Vich 8, nei pressi del Palazzo del Marchese delle due Acque), altrimenti in plaza de la Reina non è male mangiare al Bri de Safrà, al numero 11.
Dormire
Il Pinguino ha soggiornato all’albergo Florida, calle Padilla 4: vicino alla Estacion del Norte, vicino a piazza del Ayuntamento. Insomma, centrale. Ed economico (48 euro la camera per due) anche se non bellissimo.
di Guido Barella
(il Pinguino si è recato a Valencia nell’ultima settimana di luglio del 2011)