
Negli anni della Guerra Fredda è stato uno dei principali baluardi di difesa dell’Italia (e dell’Occidente tutto) di fronte al pericolo dell’invasione da parte delle forze del Patto di Varsavia.
Da qua, da questo colle posto tra Purgessimo e Ponte San Quirino, frazioni del Comune di Cividale del Friuli, si domina la Valle del Natisone, già divenuta tristemente famosa nella Prima Guerra Mondiale con la rotta di Caporetto, e proprio dal punto del quale il generale Zoppi all’epoca disse “queste sono le porte dell’Italia”. Baluardo di difesa, sì, ma in realtà – nei piani Nato – destinato a resistere soltanto poche ore: giusto il tempo per permettere al grosso delle truppe di organizzarsi sulla riva occidentale del Tagliamento, meno di 50 chilometri più a ovest.
Quassù, nel cuore del colle, era stato scavato il bunker, un sistema di gallerie che si affacciava verso nord est con due punti di fuoco di cannone e altrettanti armati con le mitragliatrici, a controllare da una parte Ponte San Quirino, e quindi lo sbocco della Val Natisone, e dall’altra la via di Azzida. A far da corona al bunker, in questa area, un sistema di difesa composto da una dozzina di postazioni tra carri armati in vasca (di solito in realtà solo i cannoni di carri armati sistemati in vasconi di cemento coperti) e nidi di mitragliatrici. Il tutto presidiato, dalla metà degli anni Cinquanta al 1986, dalla fanteria d’arresto: quassù si sono succeduti in servizio i militari del 52° reggimento Alpi, del 120° battaglione Fornovo e del 52° battaglione Alpi. All’interno del bunker trascorrevano turni di una settimana una dozzina di militari alla volta comandati da un ufficiale. La catena degli ordini partiva dal comando Nato posto a Verona, passava per la caserma di riferimento dell’unità in servizio e arrivava all’ufficiale che comandava la postazione. In caso di “allarme giallo” i militari erano posti in allerta, dovevano armare mitragliatrici e cannoni e prepararsi a sparare nel momento in cui fosse scattato l’”allarme rosso”. Negli anni la tensione, qua sotto, salì comunque solo in occasione dell’invasione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di Varsavia nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968.
Questo però non era l’unico bunker di difesa posto sul confine orientale, in quanto la linea di arresto (meglio: rallentamento) di un eventuale attacco da est era composta da circa 75 postazioni tra bunker, carri armati in vasca e nidi di mitragliatrice. Al pari di quello di Purgessimo (oggi di proprietà privata) è al momento visitabile il bunker di San Michele a Savogna d’Isonzo (costruito nel 1968) oltre a quelli, risalenti al periodo precedente alla seconda Guerra mondiale o comunque ai primissimi anni di guerra – quando venne realizzato il Vallo Alpino del Littorio (che copriva l’intero arco alpino ed era presidiato dai militari delle Guardie alla Frontiera) –, di Monte Croce Carnico, di Ugovizza-Nebria (che ebbe poi un ruolo importante anche nel corso della Guerra Fredda) e di Invillino.
Oggi, come detto, il bunker di Purgessimo è di proprietà privata: dopo essere tato dismesso dall’Esercito, era stato abbandonato a sè stesso fino a che nel 2014 è stato acquistato da una coppia di San Giovanni al Natisone, Eugenio Iurigh e Adriana Cantarutti. «Da allora – raccontò poi Eugenio Iurigh, oggi scomparso – abbiamo investito il nostro tempo e le nostre risorse per sottrarlo al degrado e rimetterlo in sesto. Il mio Tfr se n’è andato per rifare l’impianto elettrico». E grazie alla famiglia Iurigh il sito è adesso visitabile in tutta sicurezza grazie alla collaborazione con la Pro Loco Nediške Doline / Valli del Natisone (tel. 349 3241168 e 339 8403196, attivi tutti i giorni dalle 9 alle 18, indirizzo email segreteria@nediskedoline.it e sito internet www.nediskedoline.it) il cui presidente Antonio De Toni è l’appassionata guida nelle visite organizzate.
E veniamo allora proprio alla visita guidata al bunker, che, come detto, si trova sulla strada tra Purgessimo e Ponte San Quirino lungo il Natisone: subito prima del ponte sul torrente Alberone ci sono due strade bianche sulla destra. Si parcheggia lì, sull’interno, e quindi si sale di poche decine di metri verso una casamatta in lamiera un tempo struttura accessoria del bunker e oggi base anche per le visite guidate. Altri pochi metri e si raggiunge l’ingresso vero e proprio al bunker, mimetizzato con blocchi di cemento dalla forma di pietre di roccia. All’interno – seguendo quella che è l’orografia del colle a una profondità che scende fino a 30 metri – una serie di gallerie (spesso costruite dentro una seconda galleria più larga per aumentarne la sicurezza: in alcune delle quali, poi, può passare una sola persona alla volta, e chinata) che collegano l’ingresso, una uscita in verticale sopra il bunker stesso raggiungibile attraverso quattro segmenti di scala a chiocciola, le aree servizi (alloggiamenti per ufficiali e militari di truppa, uffici per il comandante, per l’addetto alle comunicazioni, centralina elettrica, centralino telefonico, pronto soccorso, servizi igienici e di servizio…) e le postazioni allestite come punti di fuoco con gli annessi piccoli magazzini per le munizioni: i punti M1 e M2 per le mitragliatrici e P1 e P2 per i cannoni da 90/50 che scorrevano lungo una barra allestita al soffitto. Tra i corridoi dei vari settori, poi, ecco i portelloni di ferro a tenuta stagna del tipo utilizzato anche nei sottomarini: il bunker infatti poteva essere sigillato e areato con un sistema di purificazione dell’aria di fabbricazione statunitense per resistere in caso di attacco nucleare, batteriologico o chimico. Gli stessi soldati in servizio alle postazioni di tiro si addestravano costantemente a operare indossando maschere antigas collegate a un sistema capillare di distribuzione dell’aria purificata.
La struttura era ovviamente supersegreta. Già in occasione della sua costruzione gli operai del cantiere venivano condotti sul posto bendati e successivamente i militari in servizio erano tenuti al massimo riserbo. Gli abitanti delle Valli del Natisone sapevano (meglio: avevano intuito) che “là sotto” c’era “qualcosa”, ma esattamente “cosa” nessuno ne aveva idea.
Insomma, visitare il bunker di Purgessimo significa fare un viaggio nel tempo risalendo al secolo scorso quando in queste terre i tre grandi drammi del ’900 (nazionalismi, fascismo e comunismo) hanno lasciato scorie peraltro tuttora vive e in particolare agli anni della Guerra Fredda, quando queste Valli (e non solo queste, ma l’intero Friuli: si pensi che nella sola città di Udine, 90 mila abitanti, erano di stanza 10mila militari!) hanno subito le pesanti conseguenze delle servitù militari, che di fatto ne hanno per troppi decenni impedito lo sviluppo: impossibile costruire vie di comunicazione più ampie e comode in quanto in caso di invasione avrebbero facilitato l’azione del nemico, e quindi impossibile era anche realizzare zone industriali o artigianali che sarebbero state, anche, sotto il tiro delle artiglierie…
(Guido Barella)
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Ultima visita il 26 marzo 2023. Per il pranzo abbiamo mangiato (bene) alla vicina trattoria Al Most (tel. 371.4349099). Nella vicina San Pietro al Natisone è aperto il museo Smo, una finestra sul mondo slavo, dedicato alla presenza della comunità slovena nelle province di Udine, Gorizia e Trieste. Purtroppo però il giorno in cui volevamo visitarlo era chiuso per urgenti lavori in corso: ci torneremo!