Nova Gorica, una città slovena ma anche una città goriziana

(articolo di Guido Barella pubblicato da Il Piccolo il 7 settembre 2009 in occasione dei sessant’anni di Nova Gorica)

Sessant’anni. Sessant’anni vissuti incarnando nelle proprie vie, nelle proprie piazze, nei propri palazzi la storia della Jugoslavia prima e della Slovenia poi. Nova Gorica compie sessant’anni. Il ricevimento del sindaco Brulc al Teatro venerdì sera e la scopertura di lapidi ai ruški bloki (i caseggiati popolari) e in onore dei volontari accorsi dopo la guerra da tutta la Jugoslavia per costruire la città: ha festeggiato così, la città d’oltre confine.

Nova Gorica ha la propria identità scritta nel nome. «Non si può parlare dell’aggettivo senza dimenticare il sostantivo», spiega il direttore del Goriški Muzej Andrej Malnič. «Per capire la città – argomenta – si deve sì capire la storia politica della Jugoslavia e della Slovenia ma anche, anzi soprattutto, la storia locale». Insomma, «nova» sì, ma intimamente legata a Gorizia, al passato di questa terra, alle tradizioni. «Siamo una città slovena ma siamo anche una città goriziana. Le nostre non sono città di confine: Trieste e Capodistria sono città di confine. No, noi siamo confine: ma per gli altri, non per noi» aggiunge ancora Malnic.

Dopo la guerra, dopo i confini tracciati sulla carta dagli Alleati («Su una carta 1:500: ma si può tracciare un confine su una carta così?» si interroga lo storico Branko Marušič, novogoričano di Gorizia: «Sono nato nel ’38 in piazza Vittoria 17» spiega con orgoglio), dunque, la nuova città voluta da Tito. Già, ma perchè nacque proprio lì? «C’era la stazione ferroviaria, i campi non erano affatto fertili e quindi meglio usarli per costruirci sopra piuttosto che per coltivarli…» dice Marušič. «Si dice anche – aggiunge Malnič – che in questo modo si inglobava l’operaia Salcano mentre costruendo più a Sud ci sarebbe stata la contadina, e bianca, San Pietro… No, in realtà io credo che, come sempre accade, pur non apparendo ufficialmente alla fine l’ultima parola l’abbiano avuta i militari. E per i militari la piana di Vertojba era strategicamente troppo importante in caso di eventuale attacco all’Italia: meglio averla libera per lanciare i carri armati, operazione che a Nord, dove poi è sorta la città, sarebbe stata impossibile, c’era subito l’ostacolo dell’Isonzo».

E così nacque Nova Gorica lì dove è ora. C’era il progetto di Edvard Ravnikar, i viali, le prospettive di sapore parigino, idee abbandonate per mancanza di fondi nei primissimi anni Cinquanta per fare posto ai «bloki» popolari uguali a mille altri «bloki» costruiti all’epoca in tutto l’Est.

«Non è mica detto che sia un male che non sia sorta la città ’ideale’: le città devono sempre crescere, vedremo cosa sarà rimasto fra cent’anni» dice Malnič. Ma c’era ed era rimasta l’idea di città che comunque si congiungeva alla città «madre», a Gorizia. «Perchè comunque Nova Gorica ha rappresentato e rappresenta il punto di riferimento per il dialogo con Gorizia, medium nel rapporto con la città sorella» spiega ancora il direttore del Goriški Muzej. «E Gorizia, dall’altra parte – aggiunge – ha il medesimo ruolo: le due città dipendono l’una dall’altra, nessuno può permettersi di essere indifferente all’altro».

Nova Gorica, del resto, guarda con forza e speranza verso Ovest: si sente abbandonata da Lubiana che, si dice, ha puntato lo sviluppo del Paese sull’asse Maribor-Capodistria. Ma… Ma il futuro è tutto da costruire. E il futuro significa ritrovare il ruolo antico di queste terre, punto di incontro e di traffici, superando quel recente passato che qua riemerge continuamente, ad esempio dai nomi delle vie delle due città: «pensateci – spiega Malnič -: appartengono in larga parte al mondo militare. Della prima Guerra mondiale a Gorizia, della lotta partigiana a Nova Gorica. Se è vero che i nomi parlano, sembra quasi che il subconscio collettivo sia ancora in guerra, ciascuno nella sua guerra». È davvero così?

Da simbolo del socialismo ai casinò
Sessant’anni. Un’era geologica, a guardare gli sconvolgimenti della storia. Sessant’anni fa sul tetto della Transalpina un cartello diceva «Stiamo costruendo il socialismo». Adesso non ci sono più confini, la Slovenia è in Europa e anche nella Nato, i suoi soldati si addestrano con gli alpini della Julia e Nova Gorica in Italia è conosciuta per i suoi casinò. «Dovevamo essere un faro e invece gli unici fari sono adesso quelli dei casinò» sorride amaro Malnič. «Sì, è paradossale: siamo famosi per quello che è il simbolo del capitalismo più esasperato» aggiunge Marušič. Eppure il pragmatismo sloveno assolve anche i casinò. «Grazie a loro questa terra non ha sofferto la crisi per la chiusura delle grandi industrie. Ma ora il gioco è in crisi. Il futuro è il turismo ed è un futuro – conclude Malnič – che ricorda quando Gorizia era la Nizza dell’Impero». (g.bar.)


 

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