In viaggio sui binari della leggenda

(articolo di Guido Barella pubblicato da Il Piccolo il 10 luglio 2006, a una settimana dai festeggiamenti per il centenario della Ferrovia Transalpina)
 
La vecchia signora si arrampica sbuffando incuneandosi tra il verde dei boschi da una parte e il verde dell’Isonzo dall’altra. Corre, corre e il fumo si alza ad ampie volute. La vecchia signora si chiama «25-026», è nata a Vienna nel 1920. Adesso vive a Lubiana ma viene a passare l’estate da noi per correre, correre ansimante eppure gioiosa, su, passando di valle in valle, fino a Bled, trascinando dietro a sè carrozze ancor più vecchie, ultracentenarie testimonianze di un mondo che non c’è più.

Il treno storico parte da Gorizia centrale (la vecchia stazione Meridionale), attraversa il confine a fianco dei piazzali di Sant’Andrea, sfila davanti alla stazione di Vertojba e poi, prima di lanciarsi verso le montagne si ferma nella «sua» stazione, in quella che noi chiamiamo con un affetto che sa di nostalgia stazione della Transalpina. Una decina di corse a stagione, le organizzano padre e figlio, Ljubo e Gorazd Skrt, di Most na Soci, Santa Lucia di Tolmino. Il padre lavorava nell’agenzia turistica delle ferrovie jugoslave, quando appunto c’era ancora la Jugoslavia, poi ha aperto un’agenzia tutta sua, la Club. Adesso Ljubo e Gorazd Skrt ogni domenica si vestono con le vecchie divise festive da ferroviere austroungarico e accolgono sulle carrozze del museo storico di Lubiana i turisti, che affollano il treno. I primi anni non era così e Ljubo e Gorazd, così agghindati, andavano a cercare i clienti sulle spiagge di Lignano e Grado. Ora, il tam-tam via Internet porta all’appuntamento delle 8 di mattina a Gorizia appassionati che arrivano anche da lontano, un turismo di nicchia che regala risultati insperati nei quali, però, ancora in pochi, dalla nostra parte del confine, credono.

Ci crede invece, eccome se ci crede, Alessandro Puhali, nella vita di tutti i giorni avvocato di un istituto bancario, ma soprattutto appassionato cultore di tutto ciò che è ferrovia. Della Transalpina conosce ogni metro, ogni bullone verrebbe da dire. E mentre la cara vecchia signora sbuffante sale verso Bled, lui racconta. Racconta, ad esempio, del ponte di Salcano, 85 metri di luce, la più ampia arcata in pietra tagliata al mondo, fatto saltare dagli austriaci nel 1916 e ricostruito tale e quale dagli italiani undici anni dopo. Intanto, ecco Santa Lucia di Tolmino, e la vecchia signora si ferma a riposare. Dieci minuti per fare rifornimento d’acqua prima di lanciarsi nella valle dell’Idria. Ed è uno slalom di qua e di là del fiume, undici ponti e sotto i pescatori che si voltano a ammirare stupiti questo affresco viaggiante della prima metà del Novecento. Poi, la galleria di Piedicolle, 6339 metri (ma oggi sono dodici di meno) con la linea che si impenna al 25per1000. Dall’altra parte si entra nel parco del Tricorno, si corre verso Bohinj. Dalla strada i bambini guardano sorridendo il treno che sferraglia e fanno ciao con la manina mentre i papà corrono a prendere la macchina fotografica. Intanto, tra le carrozze passano i musicisti con la fisarmonica e la chitarra e si vendono cartoline con l’annullo speciale.
 
Infine, Bled. E al momento del ritorno ti aspetti di veder salire sul treno le signore soffocate in quei busti che ti fanno il vitino da vespa e con le gonnellone in crinoline che con una mano si tengono il cappello che rischia di volar via alla prima folata di vento o ufficiali dell’imperial regio esercito con lo spadino al fianco e bambini vestiti alla marinara… 

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