Il Rejoneo, la corrida a cavallo

E dire che fino alla fine del Settecento i tori erano affrontati proprio così: a cavallo. Eppure negli ultimi due secoli erano (quasi) stati lasciati fuori dalle arene. Fino al termine degli anni Sessanta del secolo scorso praticamente non esistevano.
Al massimo, se proprio c’era nella scuderia degli impresari un torero a cavallo, beh, questi si esibiva nella stessa tarde dei tre – classici – matadores a piedi. Grazie però a personaggi quali i fratelli Peralta, Angel e Rafael, capaci di reinventare e rilanciare questa forma di sfida al toro, oggi invece le corride a cavallo – e cioè le corride di Rejones – sono diventate un piccolo classico e non c’è cartellone di grido che non ne preveda una nella “feria”.
Sì, il Pinguino lo sa che non è politicamente troppo corretto parlare (bene) delle corride. E sa che queste sue righe potrebbero perfino indignare più di qualcuno. Ma il Pinguino sa anche che – piaccia o meno a noi italiani – la corrida fa parte della vita degli spagnoli. Certo, non di tutti gli spagnoli: ma provate ad andare a vedere una corrida ad esempio in Andalusia o a Valencia, provate a parlare con gli andalusi o i valenciani in coda ai botteghini, provate a leggere i giornali locali nei giorni della “feria” e capirete che davvero “i tori sono parte della nostra storia” come recita uno slogan molto popolare. E allora assistere a una corrida significa, per chi spagnolo non è, almeno provare ad avvicinarsi all’anima più profonda della cultura popolare. E comunque significa assistere (anzi: partecipare, cioé essere parte) a un rito.
E tra tutti i riti taurini, quello celebrato a cavallo ha una spettacolarità tutta sua, unendo l’eleganza, la grazia del circo equestre al fascino drammatico della corrida. E il pubblico che segue queste corride è tanto amante del cavallo quanto del toro. Apprezza i passi e le evoluzioni equestri, appunto: circensi, che aprono l’esibizione con movimenti sempre identici a loro stessi quanto la sfida al toro che poi la conclude. Già, è un pubblico, quello del Rejoneo, diverso da quello che abitualmente affolla le Plazas de Toros, “un pubblico festoso, entusiasta, con tanta voglia di divertirsi, un pubblico che sin dal momento della passerella iniziale – ha avuto modo di scrivere il critico taurino del quotidiano valenciano Levante Enrique Amat – non risparmia negli applausi. Un pubblico che ha anche un modo tutto suo di invocare i riconoscimenti ai rejoneadores migliori, urlando e insultando”. Comportamenti questi che si ripetono ai Rejoneos, quasi delle feste dalla partecipazione entusiasta.
Vedere poi come il rejoneador riesce a condurre il cavallo di fronte al toro, vedere come lo sfida, e vedere come poi porta i suoi colpi, prima con le picche, poi con banderillas che si aprono e infine con lo spadino con il quale cerca il colpo finale, quello mortale, con gesti che uniscono forza ed eleganza (ad esempio, la cosiddetta “chiave di violino”, una sorta di rovesciata con il rejoneador che colpisce con il braccio opposto distendendosi fino a essere quasi parallelo al terreno) regala davvero l’impressione di trovarsi di fronte a dei centauri, tale e tanto forte è il legame tra cavallo e cavaliere e tale e tanto forte appare la simbiosi tra i due.
Se poi il cavaliere è davvero bravo, ecco allora che dalle tribune si sente urlare “Torero!”: sì, anche il rejoneador viene elevato al rango dei toreri (quelli a piedi per intenderci) migliori. E dopo le esibizioni più applaudite, le urla, gli appelli e gli insulti al direttore della corrida, e i fazzoletti bianchi, i panuelos blancos, ma anche i fogli di giornale agitati per richiedere la concessione del riconoscimento al rejoneador: in ordine crescente, un’orecchia (del toro appena ucciso), due orecchie, le due orecchie e la coda. Omaggi che poi il rejoneador (al pari di quanto fanno anche i toreri) lancerà in tribuna al suo pubblico, in cambio dei fiori, delle mantillas, dei sombreri che invece riceve in segno di apprezzamento.
Teatralità e passione, poesia e dramma, la purezza del passo equestre e l’orrore del sangue sull’arena del toro appena ucciso.

di Guido Barella

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