I piedi sul Friuli (di Mauro Daltin)

In Friuli c’è un “prima” e un “dopo”. Prima del terremoto e dopo il terremoto. Prima del 1976 e dopo il 1976. Il “prima” è il tempo di una terra dimenticata anche da se stessa in cui l’orologio si era fermato. Il “dopo” è il tempo di una terra in cui l’orologio corre, eccome se corre, per anticipare il futuro. Poco meno di un minuto durò la scossa che il 6 maggio 1976 sconvolse il Friuli. Poco meno di un minuto è stato sufficiente al Friuli per compiere il salto tra un’era e l’altra.

Ora, è davvero quasi singolare che l’autore di “I piedi sul Friuli” (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 12 euro), Mauro Daltin, sia nato – come leggo nelle note di copertina – proprio nel 1976. Perché lui il “prima” non l’ha proprio conosciuto, nemmeno intravisto. Eppure ha sentito la necessità di riscoprirlo. E di raccontarlo. Già, perché il “dopo”, in Friuli, ha significato anche questo, recuperare le radici. Con orgoglio.

Ed ecco allora, ad esempio, che Daltin ritrova Moggessa, borgo oggi spopolato vicino a Moggio, oppure salta qua e là nel tempo, dai momenti della lotta partigiana all’epoca della Serenissima, e nello spazio, dalla montagna pordenonese alla valle dell’Isonzo (ma perché lo chiama con il nome sloveno, Soca?) in un mix ben riuscito di testimonianze e fantasia che risulta assai piacevole.

Ma soprattutto resta l’emozione per un viaggio (a piedi, il mezzo ideale per riappropriarsi del tempo e dello spazio perduti) in un Friuli che c’era e non c’è più, che in un minuto, il 6 maggio 1976, ha cambiato volto ma senza perdere, anzi ritrovando, la sua identità. E Daltin, figlio del “dopo”, allora sa essere testimone del “prima”.

(g.bar.)

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