Everytime is sherry time. In Andalusia

La fama può nascere anche così, storpiando il nome di una città. E’ il caso dello sherry (da non confondere con il cherry), il fino come è chiamato in Spagna, ovvero il tipico vino andaluso dal colore pallido e molto secco. Ebbene, “sherry” è l’inglesizzazione di Jerez (Jerez de la Frontera), anzi per l’esattezza del suo nome arabo, Xerez. Sono stati proprio gli inglesi a valorizzare questo vino, a portarlo nel mondo. Lo fece conoscere sir Francis Drake, lo cantò Shakespeare, lo apprezzò la regina Vittoria alla quale è attribuita la frase “Anytime is sherrytime”. Insomma, arrivare fin quaggiù, nel triangolo andaluso i cui vertici sono El Puerto de Santa Maria, Sanlúcar de Barrameda e, appunto, Jerez de la Frontera, significa andare a scoprire l’affascinante storia che c’è dietro a una bottiglia di sherry. In ciascuna di queste città infatti le cantine storiche sono tutte aperte alla visita del turista e, cosa particolare, hanno tutte sede nel cuore delle città stesse.

Ovviamente si parte dall’uva, e l’uva è del tipo Palomino, introdotta dagli arabi già nell’XI secolo in queste campagne a nord di Cadice dal terreno calcareo, viti basse, lavorate esclusivamente a mano con la vendemmia concentrata tra fine agosto e inizio settembre. Lasciato il mosto a fermentare, nelle botti – mai completamente riempite per far respirare all’interno il vino – dopo qualche mese in superficie appare uno strato di lievito chiamato flor. E così a un anno il vino arriva nelle bodegas, le cantine, per entrare nella fase solera. Le botti di rovere americano dello stato di Washington maturato fino a 4 anni sotto le intemperie affinché si scurisca, perfette per far trasudare l’acqua e trattenere l’alcol (e che ogni 25 anni cambiano funzione, passando dall’ospitare lo sherry, ad esempio, al brandy o al whiskey) sono sistemate nelle cantine dove la temperatura viene mantenuta sui 14/15 gradi con un tasso di umidità costante del 90% in tre file orizzontali l’una incastrata sull’altra: in basso, al suolo (ecco da dove nasce il termine solera), suolo ricoperto di una particolare sabbia calcarea, c’è il vino più vecchio. Anche queste botti non sono completamente riempite, all’interno viene lasciato libero uno spazio pari a un sesto della capacità proprio per favorire lo svilupparsi del flor. La bravura del cantiniere sta poi nel prelevare al momento giusto dal fondo della botte al suolo il 10% del contenuto, che viene rabboccato con il 10% più profondo della seconda fila, che a sua volta è rabboccato con il 10% più profondo della terza. E così via, con un’operazione ripetuta circa tre volte all’anno. I vini vengono lasciati invecchiare per un tempo che va dai 3 anni (ed ecco che si avrà la manzanilla) ai 5 anni (per il fino, il più leggero, ideale con il pesce). Vi sono poi l’amontillado (più scuro, dalla gradazione più forte e il sapore di noce conferito dal flor, lasciato “morire” nella botte, la sua forza va dai 18 ai 20 gradi) e l’oloroso, più dolce, che può raggiungere i 22 gradi e viene prodotto come il fino, ma senza flor. Prima dell’imbottigliamento, poi, per tutti i tipi di sherry, escluso quello dal minor invecchiamento, la manzanilla, viene anche aggiunta una piccola quantità di brandy che eleva il grado alcolico dei vini (si parte dal 16/18%) e blocca la fermentazione.

Ecco, ovviamente tra una cantina e l’altra, tra una città e l’altra ci sono piccole differenze, magari gelosamente custodite, però questa è la lavorazione tipica dello sherry, che si ripete mantenendo sostanzialmente intatte le medesime caratteristiche da secoli.

Il viaggio ad alto tasso alcolico in questo angolo di Andalusia che si affaccia sull’Atlantico, può partire proprio dalle rive dell’Oceano, e dunque da El Puerto de Santa Maria (www.elpuertodesantamaria.es, www.turismoelpuerto.com), città che ha intrecciato la propria storia anche alle vicende di Cristoforo Colombo, che ha dato i natali a Rafael Alberti (la sua casa, in calle Santo Domingo 25 è oggi un museo) e che impregna la propria vita quotidiana non solo delle gocce dello sherry ma anche delle più autentiche tradizioni andaluse, a iniziare dalla corrida. El Puerto de Santa Maria è per dimensioni e spirito una vera e propria città, affacciata sul versante settentrionale della baia di Cadice, alla quale è collegata anche da un regolare servizio di traghetti (35 minuti la percorrenza), sulla foce del Guadalete in quella che è nota come la Ribera del Marisco. Bene, proprio grazie al porto – il principale porto di esportazione dello sherry – e ai traffici commerciali, i cittadini di El Puerto si sono arricchiti e sorsero così tanti palazzi che la città venne chiamata la Ciudad de los Palacios. A El Puerto de Santa Maria – prima di dedicarsi alla visita di una bodega – è piacevolissimo passeggiare senza meta tra il porto (il lungo fiume oggi appare un po’ abbandonato a se stesso, ma grandi cartelli annunciavano il via alla ristrutturazione) fermandosi alla fontana delle sei bocche nota come El fuente de las galeras perché era lì, secondo la tradizione, che i marinai riempivano gli otri delle loro navi, e il centro storico dove certo non mancano i motivi per tenere il naso all’insù. Ecco, ad esempio il castello di San Marco – costruito nella seconda metà del 1200 da Alfonso X nel luogo dove sorgeva una moschea e nel quale risiedette per qualche tempo anche Cristoforo Colombo, che del resto proprio qua incontrò Juan de la Cosa, l’armatore e comandante della Santa Maria, l’ammiraglia della propria spedizione che portò alla scoperta dell’America (visite dal martedì al sabato alle 11.30, 12.30 13.30, 18.30 e 20.30, ingresso 5 euro): osservate le torri, che riportano iscrizioni di devozione alla Madonna – o, non lontano, l’antica pescheria oppure, nel centro pedonale sulla piazza del mercato, il Palazzo dei Leoni, così ribattezzato per i leoni, in pietra ovviamente, che fanno la guardia all’ingresso: costruito nel 1790 e restaurato nel 1999, oggi è un albergo per cui è possibile entrare e vale la pena dare un’occhiata al patio interno. Interessante anche la cattedrale, la Iglesia mayor prioral, soprattutto per il suo retablo dorato ospitato nella Capilla de la Virgen (piccolo curiosità: in un inatteso, e francamente fuoriluogo, impeto futurista, le candele in questa chiesta sono virtuali, appaiono cioè su uno schermo, e si accendono con un sms…). Fermatevi poi alla Plaza de toros, e, se possibile, visitatela (dal martedì alla domenica dalle 11 alle 13.30 e dalle 17.30 alle 19, ingresso gratuito): El Puerto de Santa Maria è una delle capitali andaluse del toreo e la sua arena, costruita nel 1880 e capace di accogliere 15mila spettatori, è la terza di Spagna per dimensioni dopo quelle di Madrid e di Siviglia. “Chi non ha visto i tori di El Puerto non sa cosa sia la corrida” disse un giorno il leggendario torero sivigliano Joselito e un mosaico all’ingresso dell’arena ricorda ancor oggi quelle parole.

Ma se si viene a El Puerto è – soprattutto se non esclusivamente – per le sue bodegas, per le cantine. Il Pinguino ha visitato la mitica Osborne. E il perché è presto detto: non poteva non rendere così omaggio all’azienda vinicola che ha come simbolo il toro, quel toro che – apparentemente anonimo – campeggia lungo tante importanti strade di tutta la Spagna, diventando esso stesso una componente del paesaggio tipico spagnolo. Il toro di Osborne ha poi una storia assolutamente curiosa, tutta da raccontare, per cui gli abbiamo dedicato un articolo a parte: lo trovate qua, www.ilpinguinoviaggiatore.it/2012/03/quel-toro-un-simbolo/. Dunque, la cantina Osborne. Quella che si visita è la cantina De Mora in pieno centro (Bodega De Mora, calle los Moros, www.osborne.es), facilissima da trovare. All’ingresso (prezzo fissato in 7,5 euro) organizzano poi le visite, dalla durata di circa un’ora: dal lunedì al venerdì alle 10.30 in inglese, alle 11 e alle 12 in spagnolo e alle 12.30 in tedesco e il sabato alle 11 in inglese e alle 12 in spagnolo (non fidatevi troppo del sito: a noi le indicazioni ci avevano spedito, chissà perché, a un’altra cantina dell’azienda sita in periferia, la Bodega El Tiro, comunque è necessario prenotare, telefonando al numero +34 956 869 100 oppure email visitas.bodegas@osborne.es). Quindi, via, alla scoperta dei segreti dello sherry in questa azienda fondata nel 1772 da Thomas Osborne Mann tra le cantine buie ma attentamente aerate dove si trovano in triplice fila le botti per godersi infine la degustazione in una sala in cui ci sono coperchi di botti con gli autografi degli ospiti famosi: Picasso, Senna, la signora Thatcher, Filippo d’Inghilterra, i calciatori della nazionale spagnola… Ovviamente non manca, alla fine, il negozio del merchandising (la tienda), dove il famoso logo lo troverete riportato ovunque, dagli ombrelli alle cravatte di seta, ai caschi per motociclisti. Più, of course, le confezioni con le bottiglie. (A proposito: abbiamo scoperto poi che la Bodega El Tiro in realtà è chiusa al pubblico perché vi producono il brandy: con tutto quell’alcol ci potrebbe essere il rischio di fughe di vapori e a quel punto sarebbe sufficiente accendere una sigaretta e salterebbe tutto in aria).

Infine, dopo il brindisi con lo sherry, un accenno al cibo. El Puerto è città di mare e caratteristico è il Romerijo (www.romerijo.com), un locale che si trova in Ribera del Marisco: è possibile scegliere direttamente il pesce sui banconi e farselo preparare per poi consumarlo seduti ai tavolini oppure camminando per strada portandolo via nei cartocci. Il misto special il Pinguino l’ha pagato 25 euro, oppure c’è il misto normale da 19: sul piatto gamberoni, gamberetti, tonno affumicato, lumache di mare… Il locale non sembra un granchè, con tutto quell’acciaio all’interno, ma ne vale assolutamente la pena.

Brindato e mangiato, si può risalire in macchina. Prossima tappa, Jerez de la Frontera, la città oggi nota nel mondo per il suo circuito dove si corre la Moto Gp ma che rappresenta un altro angolo di grande tradizione andalusa. Il cuore, poi, è un dedalo di strade e stradine ricche di fascino. La città ha le sue radici nel periodo moresco (il suffisso “de la Frontera” indica proprio quelle città che si trovavano alla frontiera del regno di Granada) e presenta oggi straordinari monumenti soprattutto religiosi. A iniziare dalla imponente Collegiata di San Salvador del XVIII secolo, la cattedrale (a cinque navate, sorta sul luogo di una moschea, dal particolare campanile staccato dalla chiesa), o dalla chiesa di San Miguel, che si staglia con il suo campanile centrale ricoperto di mattonelle bianche e blu nel cuore di uno dei quartieri più popolari della città e che ospita uno straordinario retablo della scuola sivigliana del Secolo d’oro, e ancora, la parrocchia di Santiago, nel cuore del barrio gitano. E che dire della chiesa di San Lucas che sembra anche fisicamente integrata nel suo quartiere. Poi, la magica Plaza de la Asuncion, sulla quale si affaccia la chiesa di San Dionisio (XV secolo: è la più antica della città) con il suo puro stile mudejar, vicino al municipio, il Cabildo. E il passato moresco ritorna all’Alcazar (apertura dalle 10 alle 18, fino alle 20 nella stagione estiva, la domenica dalle 10 alle 15), residenza del califfo di Cordoba nell’XI secolo. Suggestivi gli spazi all’interno delle mura (il termine arabo al-qasr significa proprio lo spazio con edifici chiuso da mura sede del potere politico e militare), dalla bellissima moschea con il minareto che si vede dal patio (furono fino a 18 le moschee in città) all’intrigante giardino moresco, ai bagni arabi ai quali si accede con una scalinata in un angolo del giardino. E da visitare è anche l’interessante camera oscura che permette di avere una straordinaria visione della città e dei terreni circostanti fino al mare (ogni mezz’ora dalle 10 alle 17.30, dalle 11 alle 20 da metà maggio a metà settembre). Ma è bellissimo perdersi nel centro barocco di Jerez, ritrovarsi nelle piazze (su tutte plaza de Plateros con le viuzze che la circondano) oppure nel coloratissimo e rumorosissimo mercato (mercato de Abastos), magari fermandosi a mangiare in una delle popolari osterie della zona, passeggiare lungo Calle Larga e le altre vie pedonali, fermarsi ai tavolini del bar per osservare l’allegra confusione di una città sempre in movimento (ma il celebrato Gallo Azul è una mezza delusione, non fosse per i suoi tavolini all’aperto in mezzo all’incrocio).

Jerez è però anche la città dei cavalli: a maggio si svolge la fiera, con esibizioni di ogni tipo e anche splendide parate ma lungo tutto l’anno è attiva la Real escuela andaluza de arte ecuestre (a nord della città, visite dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13, verificare il calendario degli spettacoli, sono in media uno al mese, il sabato: www.realescuela.org). E oltre che dei cavalli, Jerez è pure la città del flamenco, il ballo portato in Andalusia nel Quattrocento dai gitani: del flamenco esistono diversi stili (i “palos”) e Jerez è la culla del “palo de la buleria”. E al flamenco è anche dedicato un festival che si tiene ogni anno tra fine febbraio e inizio marzo.

E poi, le cantine. Anche a Jerez, come a El Puerto de Santa Maria, si trovano nel cuore della città, le loro mura corrono lungo le strade principali, fanno parte integrante della vita quotidiana. Il Pinguino ha scelto di visitare la cantina Gonzales-Byass (il cui perimetro è uguale a quello di San Pietro), quella del celebre marchio Tio Pepe, con la bottiglia “vestita” e con il tipico cappello andaluso sul… tappo con la chitarra appoggiata a un fianco. Così come Osborne è passato definitivamente alla storia per il suo toro, la cantina Gonzalez-Byass cela un piccolo segreto dietro al marchio Tio Pepe: Tio Pepe è infatti José Angel de la Pena, lo zio Pepe (Pepe è il nomignolo usato in Spagna per José) di Manuel Maria Gonzalez Angel, il fondatore della cantina nel 1835. Tanto onore perché fu proprio lui, lo zio Pepe, a spronare l’allora ventitreenne Manuel Maria ad aprire la cantina. Poco dopo in società entrò anche Robert Blake Byass, l’agente commerciale di Gonzalez a Londra, ed ecco spiegata la ragione sociale della ditta, oggi in mano alla quinta generazione dei Gonzalez che detiene il 100% del controllo societario dopo che gli eredi Byass si sono ritirati nel 1988: date un’occhiata alla composizione del consiglio di amministrazione, ci sono esclusivamente Gonzalez! Qua, la visita viene fatta addirittura con una sorta di trenino e non può non concludersi con una degustazione: in base al prezzo che avrete pagato all’ingresso, sarà più o meno ricca (fino a 8 tipi di vino diversi!) accompagnata comunque dalle tapas per non ubriacarsi subito… Prima del brindisi finale si visitano anche le cantine più vecchie e la guida vi farà conoscere anche il topolino ubriacone… La cantina Tio Pepe si trova in calle Manuel Maria Gonzales 12 (non si può sbagliare: si trova subito arrivando da sud ed è praticamente di fronte all’Alcazar) ed è visitabile dal lunedì al sabato (e la domenica mattina) con questi orari: alle 12, 13, 14, 17 e 18.30 visite in spagnolo e in inglese e alle 12.15, 14 e 17.15 visite in tedesco (info sul sito www.bodegastiopepe.com). Altrettanto ricca di storia è poi la vicina cantina Pedro Domecq (calle San Idelfondo 3, dal lunedì al venerdì visite ogni ora dalle 9 alle 13, www.bodegasfundadorpedrodomecq.com). A Jerez si costruivano anche le bottiglie, ma la vetreria, che dava lavoro a 200 persone compreso l’indotto, ha chiuso nel 2010

E infine, Sanlucar de Barrameda, terzo vertice del triangolo dello sherry, alla foce del Guadalquivir. Sanlucar, per quel che riguarda la produzione vinicola, è in particolare la città della manzanilla, qualità dello sherry che si esalta con il pesce. E questa è una delle patrie della cucina di pesce in Andalusia. Il principale produttore della città è Antonio Barbadillo, in calle Sevilla 25, vicino al castello di Santiago (www.barbadillo.com, visite dal lunedì al sabato alle 11), che realizza una manzanilla particolare, la manzanilla pasada, invecchiata 15 anni. Ma Sanlucar è anche la città delle corse dei cavalli con la bassa marea, le più antiche di tutta la Spagna, che si svolgono in agosto. Si corre nel tardo pomeriggio, con la bassa marea appunto, sulla sabbia umida tra la spiaggia di Bajo de Guìa a Sanlucar e la Punta de Espiritu Santu a Las Piletas, su una distanza che varia fino a due chilometri. Las Piletas si trova di fronte al parco de La Donana, al quale è possibile arrivare da Sanlucar anche via barca.

A Sanlucar, comunque, non ci si può non piacevolmente perdere visitando la città vecchia posta sulla cima della collina, quasi un mondo a parte. E poi visitare la chiesa di Nuestra Senora de la O, ma soprattutto si devono ammirare i palazzi, e in particolare quello dei Duchi di Medina Sidonia, attiguo alla chiesa, costruito nel XV secolo in stile rinascimentale (visite ai saloni la domenica dalle 10.30 alle 13.30) e quello de Orleans y Borbon, spettacolare edificio in stile neomudejar del XIX secolo, circondato da un magnifico giardino, oggi sede del municipio.

di Guido Barella

(Il Pinguino ha dormito a El Puerto de Santa Maria all’albergo Costa Luz e a Jerez de la Frontera all’hotel San Andres. Ultima visita nel gennaio 2011)

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