A Cave del Predil, nel cuore della montagna

Il loro mondo è là sotto, nel cuore del monte Re dal quale estraevano solfuri di zinco (blenda) e di piombo (galena), dove oltre 150 chilometri di gallerie si intersecano su 19 livelli a 40 metri di distanza l’uno dall’altro facendo capo in gran parte al pozzo Clara, gallerie che si sviluppano fino a 450 metri sopra e 520 sotto il livello del paese. Sono gli ultimi minatori della valle, quelli che nel 1991 si asseragliarono per 17 giorni in uno dei budelli della montagna per difendere la loro miniera dalla chiusura, per difendere la loro storia. Per difendere la storia di Cave del Predil, minuscolo paese a 9 chilometri da Tarvisio, nell’estremo Nord Est d’Italia, al confine con la Slovenia e con l’Austria a un pugno di chilometri a Nord.

Il Museo dell’arte mineraria

La miniera, la più grande di piombo e zinco dell’intero arco alpino: nel 1961 si arrivò alla produzione record di 65mila tonnellate di blenda e galena, venne chiusa lo stesso, ma la storia resta. E a raccontarla oggi c’è il Museo dell’arte mineraria, nel cuore di questo strano paese a 9 chilometri da Tarvisio, un paese fatto di casermoni sorti come fossero stati seminati in una giornata di vento perché l’importante all’epoca era solo dare una casa a chi in miniera lavorava, senza badare troppo all’urbanistica. Nel museo ci sono le teche con i minerali di blenda e galena, che servono a produrre zinco e piombo, di cui era e tuttora è ricca la montagna e le fotografie che raccontano l’epopea degli anni d’oro della miniera, quando i dipendenti – poco più di cinquant’anni fa – arrivarono a essere 1132 e il paese contava quattromila abitanti: erano gli anni della Guerra in Corea, con i prezzi di piombo e zinco schizzati alle stelle e grandi investimenti – poi dimostratisi fallimentari: quella Guerra finì, i prezzi crollarono, gli investitori vollero indietro i loro soldi – da parte della proprietà. Oggi, ci sono soltanto più cinque, sei addetti alla manutenzione delle pompe che asciugano dall’acqua le viscere della montagna, e in paese non vivono più di 350 persone. Quando, il 30 giugno 1991 (dopo che nel febbraio la miniera venne occupata per 17 giorni da 55 minatori in lotta per difendere il posto di lavoro), la miniera venne comunque chiusa, ai dipendenti – gli occupati al momento erano 150 – promisero l’apertura di una fabbrica metallurgica in valle e la riconversione in chiave turistica del sito minerario. La fabbrica non venne mai aperta e solo ora l’idea di trasformare l’attività estrattiva – praticata in questo luogo già otto secoli prima di Cristo – in una attrattiva turistica sta diventando realtà.

Il piccolo museo – che, realizzato dai volontari della cooperativa Nuova Raibl, permette al visitatore di rivivere, attraverso sette sezioni, i momenti salienti della vita secolare del minatore, dai costumi d’epoca ai trenini di trasporto, dai vecchi telefoni agli elmetti da lavoro – è stato inaugurato già negli anni Novanta ma da un paio di anni è anche possibile entrare in miniera: tre/quattrocento metri in tutto che si percorrono a piedi dopo aver indossato mantelline cerate e caschetti, e, dal 2009, il nuovo tracciato, due chilometri di gallerie da percorrere in larga parte con un trenino elettrico. Ad accompagnare i turisti, Bruno Micottis: minatore era suo nonno, minatore era suo padre e minatore è stato lui, per vent’anni. Nel 1991 era tra i 55 che si chiusero in fondo a un pozzo. È lui a raccontare come si svolgeva il lavoro qua sotto, a spiegare le tecniche di brillamento, a far vedere come era organizzata la santabarbara. E quella montagna attraversata dalle venature rossastre del minerale diventa – nelle sue parole – viva, palpitante, emozionante. Non a caso, del resto, si usa il verbo «coltivare» per parlare dell’attività estrattiva: perché la roccia è per il minatore quello che è la terra per il contadino. Con tutto il suo carico, anche, di pericolo, sebbene qua – grazie al cielo – non si sia mai registrata nessuna Marcinelle e la tragedia più grave che si ricordi risale al 1910 quando, l’8 gennaio, una parete di roccia si infranse, la ghiaia e l’acqua del rio del Lago tracimarono nelle gallerie sotterranee e venne risucchiato l’ospedale del paese, inghiottito dalla montagna con sette persone: il medico con la moglie e il figlio, una cuoca, una cameriera, il capoposto dei gendarmi e la moglie infermiera. I loro corpi non vennero mai recuperati.

Il museo (via Garibaldi 18, telefono 0428-68257, e-mail: mostraminiera@libero.it; referente Bruno Micottis, telefono 338-3184360 oppure 0428-68086) è aperto tutti i giorni (escluso, in bassa stagione, il lunedì) dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18. Il biglietto costa 3 euro per gli interi e 2 euro per i ridotti. Esiste poi, come detto, la possibilità di visitare la miniera: il giro lungo (con il trenino) dura circa un’ora e mezza (partenza alle 10.30 e alle 15), il giro breve, a piedi, tra i 35 e i 40 minuti. Biglietti per il giro lungo 8 euro (6 i ridotti e comitive) e 6 euro (4 i ridotti) per il giro breve. Per le scolaresche è previsto solo il giro breve a 4 euro. All’interno della miniera la temperatura è costante sugli 11 gradi, quindi è consigliato un abbigliamento adeguato.

La galleria di Bretto

Ma la miniera ha scritto anche pagine di storia: qua sotto, infatti, corre la galleria di Bretto, cinque chilometri scavati nel 1905 che sbucano nell’alta valle dell’Isonzo, a Log pod Mangartom (appunto, Bretto in italiano), in quella che oggi è Slovenia, realizzati per incanalare e far defluire le acque delle gallerie sovrastanti. Ebbene, lungo questa galleria – qui era territorio austroungarico, ma territorio di prima linea – nel corso della Prima guerra mondiale vennero fatti passare, non visti dalle vedette italiane appostate sui monti tutt’attorno, le migliaia e migliaia di soldati tedeschi che poi permisero all’esercito dell’imperatore di sfondare a Caporetto: l’idea venne a un giovane ufficiale germanico, Erwin Rommel, al tempo ufficiale degli Alpen Korps e più tardi noto come la “volpe del deserto”. I numeri relativi all’utilizzo da parte dell’esercito della galleria sono impressionanti: nel 1915 seicento corse del trenino sotterraneo avevano permesso il trasporto di 32.120 soldati, nel 1916 10.939 corse e 144.755 soldati, nel 1917 21.946 corse e 270.015 soldati, nel 1918 33.495 corse e 446.890 soldati. Oltre a, complessivamente, 240mila tonnellate di viveri, munizioni e altri materiali. Il traffico attraverso la galleria si svolgeva 16 ore al giorno: al fronte giungevano unità fresche, nel senso contrario venivano trasportati i feriti. Una sciagura però accadde già durante la guida di prova a causa di un contatto con l’impianto elettrico. In seguito altri incidenti anche mortali si verificarono per il contatto con i lunghi fucili. La zona di Log/Bretto divenne così zona militare con numerose baracche di legno e magazzini. C’era l’ospedale e i militari bosniaci costruirono pure una piccola moschea. Dinanzi all’uscita della galleria venne costruita un’autentica stazione ferroviaria e vi fu montato un trasformatore. I dirigenti della miniera, con Cave sotto il tiro dell’artiglieria italiana, spesso pernottavano a Log/Bretto negli edifici di fronte alla galleria: come veicolo usavano un vagoncino più comodo, del quale usufruivano pure gli alti ufficiali durante le loro visite al fronte.
 
Ma come era questa galleria? Lo racconta Darinka Pirc in una testimonianza sulla Grande Guerra raccolta da Camillo Pavan e citata dal sito internet www.camillopavan.it/Grande_guerra/Alto_Isonzo/retrovie.htm. Ebbene, ricorda la Pirc, che abitava a Bovec/Plezzo e che utilizzava il trenino sotterraneo per andare a trovare il papà soldato che arrivava a Tarvisio da Arnoldstein dove era di stanza, che “si entrava nella galleria sotto il lago di Predil/Raibl (Rabeljsko Jezero) e si usciva giusto a Log pod Mangartom/Bretto. Per entrare bisognava prendere l’ascensore che utilizzavano anche i minatori; era tutto in ferro, come un grande cesto di ferro, e con quello si scendeva giù nella terra per due-trecento metri. Io avevo tanta di quella paura che gridavo come una matta, perché era tutto scuro, ma nero, nero. Finita la discesa con l’ascensore si imboccava la galleria con il trenino. E anche qui gridavo e gridavo, perché non si vedeva niente. Solo a un certo punto, sarà stata la metà della galleria, c’era una piccola luce, che illuminava la statua di Santa Barbara, patrona dei minatori”.

E oggi, qua sotto, al tredicesimo livello, 240 metri di profondità, si trova quello che forse è l’unico posto di confine sotterraneo al mondo: una piastra di marmo indica la frontiera e una barriera meccanica (un carro che monta un intreccio di putrelle) impedisce il passaggio, rubricato dagli atti ufficiali dell’Accordo di Udine tra Italia e Jugoslavia come valico di Seconda categoria, transitabile solo con il “lasciapassare”, la famosa – da queste parti – “prepustnica”. Era, di certo, il più singolare punto di contatto tra Est e Ovest negli anni della “Cortina di ferro”, anche se il confine tra Italia e Jugoslavia perfino qua sotto, nelle viscere della terra, è sempre stato, tutto sommato, un confine molto “aperto”. Quando veniva utilizzato (un tempo per permettere ai lavoratori sloveni di raggiungere la miniera anche quando le strade in superficie erano bloccate dalla neve, negli anni più recenti solo più per i lavori di manutenzione) si doveva chiamare la Guardia di Finanza. Attenzione, però: guai a dimenticarsi di avvertire i graniciari in servizio a Log Pod Mangartom. Vedendosi sbucare qualcuno dalla galleria (il portale in pietra con la scritta “Gluck Auf”, “buona fortuna”), avrebbero sicuramente sparato! Con l’ingresso della Slovenia in Schengen anche questo posto di confine è stato aperto (si fa per dire: ormai viene utilizzato solo più per i lavori di manutenzione). E lì, all’uscita della galleria sul versante sloveno – appunto, a Log pod Mangartom, sulla strada che da Bovec/Plezzo sale verso il confine – l’epopea della miniera è ancora oggi raccontata da una serie di interessanti pannelli che ne riassumono la storia, oltre che, proprio come a Cave, da un reperto storico, un antico trenino usato per “correre” in quella galleria. L’ingresso della galleria è sulla sinistra salendo da Bovec/Plezzo: appena entrati in paese si vede sulla sinistra una anconetta dedicata a Santa Barbara. Si imbocca la stradina e dopo un centinaio di metri si è arrivati.

Il paese della miniera

Tutto il paese di Cave però merita una passeggiata. Per carità, è minuscolo, poche decine di minuti sono sufficienti, ma le case popolari costruite per i minatori, con sulle facciate i simboli del lavoro, fanno fare al visitatore un vero e proprio tuffo nel tempo, riportando a quegli anni in cui – è facile immaginarselo – questo paese pulsava attorno alle sua miniera e la domenica i lavoratori indossavano orgogliosi la divisa della festa per partecipare alle cerimonie. Cave, del resto – che nel 1898 aveva già la luce elettrica in tutte le abitazioni grazie alla costruzione della prima centrale idroelettrica con potenza di circa 300 kwa che doveva fornire energia elettrica agli impianti della miniera -, ha avuto a un certo punto della sua storia oltre 4mila abitanti, ben più della stessa Tarvisio ed era anche “quasi” ricca, visto che gli stipendi dei minatori erano comunque migliori rispetto a quelli di qualsiasi operaio in fabbrica. Non solo. La miniera era una grande mamma, pensava a tutto: c’erano l’asilo e le scuole per i bambini, c’era il cinema (ma con operai e impiegati rigorosamente divisi in sala) e c’era la scuola professionale, alla cooperativa si poteva comprare gli alimentari a prezzi buoni, c’erano i servizi sanitari e le strade, anche in caso di abbondanti nevicate, erano subito sgombre. Se poi accadeva qualche disgrazia, la miniera offriva il lavoro in qualcuno dei servizi collegati (dalla lavanderia alla mensa) alla vedova per non lasciarla dimenticata. Oggi, la realtà resta in equilibrio – instabile assai – tra gli edifici abbandonati, chiusi da anni e vagamente a pezzi (ad esempio, quella che un dì era la palazzina uffici, nello slargo appena al di qua del fiume sulla destra guardando l’ingresso della miniera) e quelli invece restaurati come si conviene, come quei due condomini che si incontrano uscendo dal paese verso il valico, chiamati le “torri gemelle”, costruiti – al pari della palazzina uffici – alla fine degli Venti e di fronte ai quali, alla fine del paese, c’erano la casa del direttore della miniera e l’ospedale. Un equilibrio sul quale “poggiano” i tanti mezzi esposti anche vicino all’ingresso della miniera: dai vagoncini dei “trenini” a quelli dei pompieri volontari. Un equilibrio sul quale si innestano anche i ricordi militari di questa terra di confine: a Cave, nell’edificio che si trova a fianco della chesa nuova, praticamente di fronte al Museo minerario, si trova infatti il Museo storico militare delle Alpi Giulie gestito dal Gruppo storico tarvisiano: in cinque sale si snoda un percorso che parte dalle guerre austro-napoleoniche e arriva fino alla Prima e alla Seconda guerra mondiale tra reperti e pannelli illustrativi. Il museo è visitabile nella stagione estiva dal martedì al sabato dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18 e la domenica dalle 10 alle 12.

Il lago e le montagne

Ma, oltre al paesino, anche i dintorni offrono oggi occasioni per passare una mezza giornata facendosi cullare dal verde intenso. Un po’ per riposarsi, un po’ per ricordare la storia di queste montagne. Il laghetto del Predil è davvero un incanto, tanto bello quanto le sue acque sono gelide. Eppure in queste estati calde (anzi: torride) non sono pochi quelli che si tuffano per cercare un po’ di refrigerio. Sul lato della strada che va a Sella Nevea è stata realizzata una piccola spiaggetta erbosa dove vengono affittati ombrelloni e lettini con la possibilità di noleggiare anche pedalò e anche della strane biciclette per acqua – il tutto è gestito dalle stesse persone che nella vicina Sella Nevea hanno aperto il “percorso avventura” -, mentre al limite del lago si trova anche una trattoria, che si sta ampliando. Sopra, invece, a poche decine di metri dal confine di Stato con la Slovenia, ci sono i resti della Batteria di Sella Predil, forte risalente alla Prima guerra mondiale che in realtà è oggi abbandonato a se stesso: chissà perchè il Comune non trova il tempo per mandare quassù una squadra di operai nemmeno per tagliare l’erba… Tra erbacce e sterpaglie, comunque, si riesce in qualche modo a entrare nella galleria dei fucilieri, sperando che il manufatto non crolli all’improvviso, visto lo stato pietoso in cui si trova. Eppure il Comune è conscio che anche questo punto merita una sosta, visto che comunque, in collaborazione con il Gruppo storico tarvisiano, la Regione e i Musei civici tarvisiani è stata allestita una tabella che spiega le caratteristiche del forte. Spiega cioè che la Batteria di Sella Predil, quassù, a 1125 metri sul livello del mare, era stata realizzata per decisione del Ministero della Guerra austriaco e i lavori si erano conclusi il 24 settembre 1899 sotto la direzione del capitano ingegnere Theodor Brosch di Aarenau: l’armamento iniziale era di 3 cannoni M80 da 120 (gittata massima di 6,8 chilometri) di cui 2 provenienti dal Forte Hensel e uno dallo sbarramento della Chiusa di Plezzo e di 2 mitragliatrici sistema Schwarzlose M.7 da 8mm. La forza della guarnigione era di 5 ufficiali e di 107 uomini di truppa. Ma, si è detto, una sistematina non ci starebbe male…

di Guido Barella

(da un articolo scritto dall’autore per Il Piccolo e pubblicato il 6 luglio 2007 e da lui aggiornato ora con le necessarie integrazioni. Si segnala, per approfondire alcuni aspetti della storia della miniera di Cave, il libro “Il banchiere del Papa e la sua miniera – Lotte operaie nel villaggio minerario di Cave del Predil”, di Giordano Sivini, Il Mulino, libro dal quale sono stati tratti alcuni dati)

 

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5 Risposte a“A Cave del Predil, nel cuore della montagna”

  1. Marco ha detto:

    oggi è possile visitare la miniera

  2. Edi Bulfon ha detto:

    Sono anni che manco, ma non potrò mai dimenticare gli anni della mia infanzia trascorsa un questo unico meraviglioso paese.

  3. Gianni Poggioli ha detto:

    D’accordo con i commenti di Edy Bulfon, come cavese d’infanzia e giovinezza , pur non sempre allegra, anche dopo decenni in giro per il mondo e mille esperienze , Cave del Predil ti rimane nel sempre sangue , impossibile da relegare nella bacheca dei ricordi completamente . Ora ci torno spesso e volentieri , e non mi stanco mai di rivisitare i luoghi che ricordo e ancora influenzano in qualmodo la mia vita odierna . Ciao a tutti i ex cavesi , auguri e buona salute …Gluck Auf..!

  4. cosimo ha detto:

    dopo un anno passato a cave nel 1988 conservo ancora un bellissimo ricordo….i momenti più difficili sono quelli che a distanza di tempo si ricordano con piacere….è stata dura ma alla fine abbiamo vinto.

  5. roberto ha detto:

    ho conosciuto cave del predil la scorsa estate quando hoì letto di una festa px ricordare cosa è stata quel luogo con anesso mercatino e dopo uno scanbio di emel di presentazione ci sono andato una realta che viveva di miniera e che ora che è chiusa sta piano piano sconparendo sarebbe un peccato

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