A Minas de Riotinto, nel cuore della terra

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No me llaméis por mi nombre
Llamadne sólo minero
Que mi nombre ya no existe
Y, si existe, no lo quiero:
¡Minero! ¡Sólo minero!
De esa larga pena abierta
En la mina de mi cuerpo
(José María Morón, 1900-1906)

“El corazon de la tierra”, il cuore della terra, è qua, a Minas de Riotinto, nella regione di Huelva, a poco più di 80 chilometri a nord-ovest di Siviglia. Queste miniere hanno una storia millenaria, ma il loro è un cuore insanguinato e non solo per il colore rosso che attraversa le montagne ricche di ferro e di rame. No, la storia di Minas de Riotinto è una storia fatta di fatica e di passione, di rabbia e di ribellione, bagnata dal sangue dei lavoratori che in quelle miniere a cielo aperto hanno lasciato la salute e che a decine e decine sono stati trucidati, nel 1888, nel corso di una grande manifestazione popolare organizzata per chiedere migliori condizioni di vita. E il cuore di Minas de Riotinto è un cuore che sanguina ancora oggi, oggi che le miniere sono chiuse (ma il Comune vorrebbe rilanciarne la produzione) e che il paese non riesce ancora a darsi un futuro alternativo, un futuro che sia fatto di turismo e agricoltura.

“El corazon de la tierra”, allora, non è solo il titolo di un libro del 2001 di Juan Cobos Wilkins e del film che sei anni dopo Antonio Cuadri da quel libro ha tratto per raccontare la rivolta del 1888 guidata da un leader anarchico arrivato sin qua da Cuba per unire minatori e agricoltori contro una delle più grandi imprese d’Europa che in questo angolo di Andalusia aveva piantato la bandiera inglese sulle miniere. No, “el corazon de la tierra” è una vera esperienza di vita che non può lasciare indifferente chi si trova anche solo a passare qua poche ore da turista.

Una storia lunga millenni

Minas de Riotinto, dunque. Poste sul versante meridionale della Sierra Morena, secondo la leggenda queste sarebbero le mitiche miniere di re Salomone. Di certo, reperti che testimoniano l’estrazione del rame risalgono addirittura al 3000 avanti Cristo. Qua sono arrivati i fenici per estrarre il rame da fondere con lo stagno della Cornovaglia per ottenere il bronzo. Qua sono arrivati i romani, che nel quarto secolo dopo Cristo si specializzarono nell’estrarre l’argento. E qui sono arrivati anche i visigoti, a continuare l’opera di estrazione. Poi, un lungo, lunghissimo abbandono. O quasi. Quindi, con un contratto firmato il 14 febbraio 1873, la Spagna vendette la concessione a un consorzio inglese, la Matheson & C., che fondò la Rio Tinto Mining Company ltd, e Minas divenne uno dei centri di estrazione del rame più importanti del mondo.

E la storia della regione cambiò.

Per lavorare in miniera giunsero lavoratori da ogni dove dell’Andalusia, ma soprattutto dalle zone di Granada e di Malaga, dalla Galizia e dal vicino Algarve portoghese. Manodopera iberica (quando nel 1873 arrivò la Compagnia i minatori erano un migliaio: in quindici anni crebbero fino a 10mila), ma vertici assolutamente inglesi. Che trasformarono Minas in una vera e propria colonia. La comunità inglese creò dal nulla un quartiere nel quale vivere, con villette in perfetto stile british “protette” dal resto del paese dove vivevano quelli che sdegnosamente chiamavano gli “indigeni”, posto al di là della strada, da un muro e con le garrite presidiate dalle guardie ai pochi varchi. All’interno del villaggio, la chiesa protestante, impianti sportivi, l’”English club”… Non è un caso che a Minas sia nata la prima squadra di calcio di Spagna (nel 1878, il Club Ingles, “padre” del successivo Rio Tinto football club che oggi milita tra i dilettanti nel campionato provinciale), non è un caso che a Minas (nel 1924) sia nato uno dei primi, se non il primo gruppo scout di Spagna. Chi ha inventato il football moderno? Gli inglesi. Chi ha fondato il movimento scout? Un inglese, lord Robert Baden Powell. E i sudditi di Sua Maestà hanno cercato di riprodurre il modello di vita londinese ovunque. Anche qua, anche in Andalusia. E infatti Antonio Gomez Mendoza ha definto la Minas di quegli anni “una Gibilterra economica, maggiore e più ricca”. Oltre quel muro però, al di là della strada, povertà e disperazione. Tanta povertà e tanta disperazione tra le casupole dei minatori e le vere e proprie capanne degli immigrati portoghesi. Perché i salari non permettevano il minimo risparmio. Si lavorava letteralmente solo per sopravvivere.

Quelle miniere erano un vero inferno. E non solo per chi ci lavorava. Anche per i contadini della valle. Tutta colpa della calcinazione all’aria aperta, il processo di riscaldamento ad alte temperature per eliminare tutte le sostanze volatili dal materiale estratto. Il che significava realizzare quelle che venivano chiamate “teleras” (grembiuli), le cui emanazioni sulfuree minavano la salute dei minatori ma andavano anche a inquinare i campi. E pian piano la coscienza sindacale e di pari passo pure quella ambientale crebbero e si svilupparono, nonostante i vertici inglesi della Compagnia si fossero dotati di una sorta di corpo di sicurezza (“los guardiñas”) che controllava e relazionava su ogni dettaglio anche minimo della vita dei minatori. Un esempio banale? Ecco cosa è stato trovato scritto su una relazione di servizio: “A NN  hanno regalato  un cardellino che ha messo in una gabbia alla destra della porta”. Pochi giorni dopo: “NN  ha spostato la gabbia sul lato sinistro della porta”. Insomma, la Compagnia conosceva ogni minimo dettaglio della vita del paese. E soprattutto controllava tutto. Eppure la coscienza sindacale era sempre più forte e il “pueblo” (il paese) aveva anche trovato ben presto un leader. Si chiamava Maximilian Tornet ed era un anarchico cubano arrivato a Minas nel 1883.

L’año de los tiros

A inizio 1888, con la nomina al vertice della Compagnia di un nuovo direttore generale, William Rich, la situazione si surriscaldò. Rich introdusse una nuova scala salariale, inserendo il cottimo. In questa maniera perseguiva un doppio obiettivo: aumentare la produttività e assicurare stipendi più pesanti. I lavoratori, e Tornet per primo, lessero questa mossa come invece una forma molto raffinata di sfruttamento, senza veri vantaggi per i lavoratori ma solo per la Compagnia, visto che comunque i salari restavano decisamente più bassi rispetto a quelli dei minatori inglesi. Insomma, in quelle prime settimane del 1888 fu un crescendo di proteste. Contro i salari comunque bassi, e contro i fumi della combustione dei minerali all’aria libera che rendevano impossibile la respirazione e il  lavoro nelle maniere. Ma non solo: gli agricoltori del paese vicino, Zalamea la Real, si unirono alle manifestazioni per protestare contro la contaminazione nei campi e l’avvelenamento degli animali. Venne così proclamato uno sciopero generale, che iniziò il primo febbraio. E per il 4 febbraio, un sabato, venne convocata una manifestazione (la prima grande manifestazione sindacal-ecologica della storia, forse) nella piazza di Minas. C’erano i minatori, le loro mogli, i figli, c’erano gli agricoltori dei pueblos vicini, c’era anche la banda. Dieci, dodicimila persone, si dice, al grido di “Abbasso i fumi, viva l’agricoltura”. Il direttore della miniera aveva chiesto che l’ordine pubblico fosse assicurato dalla Guardia Civil e dall’esercito, che aveva inviato sul posto il Reggimento Pavia, di stanza a Siviglia. E mentre in piazza la folla continuava ad affluire, quel sabato mattina nel Municipio di Minas si riunirono con William Rich il governatore di Huelva, i sindaci di Riotinto e di Zalamea la Real, Tornet e altri delegati. Una riunione fiume, mentre all’esterno la tensione era crescente. Tanto che a un certo punto, e senza – riferiscono le cronache – alcun motivo apparente, un ufficiale dell’esercito diede l’ordine di sparare. Ai primi colpi di fucile, la folla – uomini e donne, bambini e anziani – iniziò a scappare verso ogni dove. E i soldati cercarono di bloccarla a colpi di baionetta. Fu una strage. Il numero esatto dei morti non è noto, ma il più delle fonti riferisce di un centinaio di vittime (i numeri partono da trenta e arrivano fino a 500…), così come non si sa quanti furono i feriti, anche perché, essendo l’ospedale di proprietà della Compagnia mineraria, in molti non si ricoverarono per paura di ritorsioni.

Quel 1888 – ricordato anche come l’”año de los tiros” e raccontato poi in anni a noi più vicini da “El corazon de la tierra” – è così diventato una tappa fondamentale nella storia del movimento operaio in quanto rappresenta il primo momento in Europa in cui le forze dell’ordine spararono contro lavoratori e loro famigliari che chiedevano migliori condizioni di vita.

Nonostante qualche innovazione (soprattutto la proibizione del processo di calcinazione all’aria libera, oltre ad altre concessioni più che salariali, però, sociali: assistenza sanitaria per i lavoratori e le loro famiglie, sistema scolastico obbligatorio con la sconfitta totale dell’analfabetismo già alla fine del XIX secolo), di fatto comunque la Compagnia Inglese continuò a essere padrona della vita e dell’anima dei minatori. E lo fu ancora a lungo. Riferisce in un proprio scritto Concha Espina, autrice di “El metal de los muertos” (uscito nel 1920), che per realizzare la sua opera dovette vivere molti mesi a Nerva (il paese più vicino a Minas) “perché a Riotinto non è facile risiedere liberamente senza essere dipendenti di quella poderosa Compagnia mineraria”. Padrona della vita e dell’anima dei suoi operai. Quando un minatore moriva sul lavoro (e a morire erano spesso i più giovani, che per qualche soldo in più accettavano gli incarichi maggiormente rischiosi), il suo corpo veniva composto in quella che era chiamata la “casa delle patate”. Era lì che mogli e figli piangevano i loro cari, era lì che i colleghi imprecavano maledicendo gli inglesi (e le imprecazioni venivano chiamate proprio “patate”, dal nome di quel luogo). Ebbene, la Compagnia si teneva prudenzialmente lontana dalla “casa delle patate” salvo poi chiamare la vedova per offrirle un posto di lavoro – come addetta alle pulizie, ad esempio – in modo da poter continuare a garantire alla famiglia uno stipendio. “In questo modo – annota con un velo di amarezza Antonio Garnica nella prefazione alla riedizione del libro della Espina - la Compagnia esercitava il più genuino paternalismo coloniale e non poteva essere accusata di chiudere gli occhi di fronte alla tragedia di quelle povere famiglie”.

E la miniera chiuse

Minas de Riotinto – i cui minatori arrivarono a essere fino a 14mila nella prima metà del XX secolo - rimase di fatto una enclave britannica fino al 1954, quando le miniere furono rivendute alla Spagna. E l’attività si sviluppò ulteriormente ancora qualche anno per andare però poi rapidamente scemando fino alla chiusura dell’attività estrattiva decisa nel 2001. Minas in pochi anni si è spopolata, oggi gli abitanti sono 4mila circa. “E adesso – racconta un ragazzo – in molti si sono dedicati all’agricoltura”. Ma una spinta all’economia dell’intera “comarca”, la regione, può venire dal turismo, anche se la locale amministrazione comunale crede ancora nella possibile rinascita dell’attività di sfruttamento delle miniere, avendola posta tra i propri obiettivi strategici (però rimane il problema delle sostanze volatili che mal si concilia con l’agricoltura. E la salute….). D’altra parte, questa è una zona in sofferenza: con le miniere, qui abitavano, distribuiti in cinque paesi, 100 mila persone, 20 mila impiegate direttamente nelle miniere. Oggi, i cinque paesini hanno ventimila abitanti che lavorano per lo più nei servizi, nel turismo, ma soprattutto nella coltivazione delle arance.

Un viaggio nel cuore della terra

“El corazon de la tierra”, il cuore della terra è dunque diventato oggi una meta turistica. Di grande fascino e di profonda suggestione, a iniziare proprio dal fiume, il rio Tinto, con le sue acque color del sangue, che non si possono bere, non si possono usare per l’agricoltura, nelle quali non possono vivere né pesci né alghe ma che hanno un utilizzo in medicina per la cura di malattie quali la psoriasi o alcune dermatiti.

La Fundacion Rio Tinto (www.parquemineroderiotinto.com) sta svolgendo un lavoro encomiabile, con il Museo minerario di Riotinto inaugurato nel 1992 e inserito nella Rete dei musei della Comunità andalusa oltre che essere dichiarato Bene di interesse culturale. Non solo: ha vinto il premio Henry Ford per la conservazione del patrimonio nel 1998 e il premio del Patrimonio culturale dell’Unione europea Europa Nostra nel 2002. Tra gli illustri visitatori, noterete la foto di Henry Kissinger.

Il Museo minerario di Riotinto

Punto di partenza per andare alla scoperta della millenaria storia della Comarca minera de Riotinto è senza dubbio il Museo minerario, dedicato alla memoria di Ernest Lluch, primo presidente della Fondazione, assassinato dall’Eta il 21 novembre 2000. Il Museo è ospitato nell’edificio che, ai tempi della Riotinto Company ltd, era l’ospedale, progettato da un architetto britannico (R.H. Morgan) nel 1925: consiste in quattro corpi paralleli uniti da un passaggio centrale. Chiusa la storia mineraria della regione, anche l’ospedale si ridusse prima a un centro sanitario (oggi ospitato a lato dell’edificio) per poi essere convertito appunto in museo. Certamente molto suggestiva è la ricostruzione di una miniera di epoca romana lunga 200 metri: il pezzo forte è la ruota con cui i romani (meglio, gli schiavi dei romani) tiravano fuori l’acqua dalla miniera. Non mancano poi testimonianze fotografiche e documentali relative alla vita dei minatori e dell’intera comunità tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo (e il Pinguino vi assicura che le immagini delle misere capanne dei lavoratori portoghesi sono un pugno allo stomaco, c’è davvero da commuoversi con queste foto).  Guardate bene le case a schiera dei minatori: sono tutte attaccate alle miniere per non pagare i trasporti. Non serve aggiungere altro.

Curiosità: un ampio spazio ospita (anche) il lussuoso vagone del Marajà, costruito nel 1892 dalla Birmingham Railway Carriage and Wagon Company per un viaggio in India della regina Vittoria. Il vagone venne poi destinato a Minas in occasione di una visita all’area mineraria del re Alfonso XIII di Spagna.

Al Museo è poi possibile ottenere tutte le informazioni per proseguire la visita alla Casa 21 nel quartiere inglese e alla Peña de Hierro, e fare l’escursione con il treno minerario. Alla sinistra della biglietteria, il bookshop (dove il Pinguino ha acquistato sia i libri che il dvd del film), alcune vetrine con la possibilità di acquistare la bigiotteria prodotta con i minerali della zona (anelli, orecchini…), felpe, magliette, minerali, e l’imperdibile bottiglietta con l’acqua del Riotinto (che poi si chiama tinto perché piglia il nome dal vino, rosso, appunto).

Casa 21

Fuori dal paese, sulla destra lungo la statale che proviene da Nerva, protetto da un muro, ecco il Barrio Ingles de Bella Vista, il Quartiere Inglese. Qua, protetti dai vigilanti che montavano la guardia nelle garitte ai pochi varchi aperti sulla strada (se non si era inglesi era necessario esibire uno speciale permesso per potervi entrare), vivevano i membri dello staff dirigenziale della Compagnia Mineraria e le loro famiglie. Inizialmente – quando cioè nel 1873 la Compagnia acquistò le miniere andaluse – i dirigenti della società trovarono casa in paese. Fu nel 1883 che il direttore generale Charles Prebble decise di creare un quartiere dove alloggiare il personale direttivo inglese (fino al 1954). E scelse la zona di Bella Vista, così denominata perché, appunto, si godeva una bella vista delle valli e delle pianure a nord-ovest. In tutto 46 abitazioni in villette in stile vittoriano, le più a schiera, alcune singole, e poi la chiesa protestante, il club con piscina e campi di tennis (ma un tempo qua si giocava anche a calcio, polo, cricket e golf…). Un perfetto esempio di edilizia coloniale inglese per ospitare fino a 300 persone. Oggi che la Company ltd non esiste più, il quartiere inglese è diventato un quartiere… spagnolo, e una di queste abitazione, Casa 21 (ma ai tempi era numerata come la numero 10) è aperta al pubblico, è diventata un museo. Al suo interno il tempo si è fermato agli anni Venti del secolo scorso: tre i piani visitabili per raccontare come viveva questa enclave inglese nel sud-ovest della Spagna, come cercò di ricreare un piccolo frammento dell’Impero britannico in Andalusia. Al piano terra, il salottino, la sala da pranzo, la cucina e la dispensa. Una ripida scala porta al primo piano: uno studio, il bagno, la camera dei bambini, la matrimoniale con la camera del bebè. Una seconda, ripidissima scala conduce all’ultimo piano: la stanza della servitù e la sala giochi, con tanto di giochi! Ogni stanza ha il suo caminetto. Curiosità: tuttora gli impianti sportivi vengono utilizzati da club esclusivi che contano centinaia di soci.

La Peña de Hierro, Corta Atalaya e Cerro Colorado

A una decina di chilometri da Minas de Riotinto, nei pressi del paese di Nerva, si trova la Peña de Hierro, che deve il suo nome (“Roccia di Ferro”) alla corona ferrosa che circonda la miniera a cielo aperto: è qui che nasce il Rio Tinto. Ci si arriva in auto: normalmente, vengono organizzate piccole colonne di vetture di turisti che partono dal Museo minerario (un furgoncino azzurro con la guida vi farà strada). La storia di questa miniera nella quale l’attività si svolgeva sia a cielo aperto che nel sottosuolo (si scendeva fino a 195 metri di profondita, attraverso 12 livelli) – quasi un simbolo della regione geologica chiamata Faja piritica iberica, di origine vulcanica – affonda le sue radici sin al periodo romano, anche se la sua massima produttività è ben più recente, tra le fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Non faceva parte però della Company “padrona” di Minas, bensì di altre società: della Peninsular Copper Company dal 1883 al 1900, poi, fino al 1955, della Peña Copper Mine ltd, dal ’55 al ’60 è passata alla Compañia Nacional de Piritas, e infine, fino al ’72, quando ha chiuso definitivamente, è appartenuta alla Riotinto Patiño. Questa montagna tagliata non era la miniera la più grande della zona, ma quella dalla qualità considerata migliore. La guida, un minatore in pensione giustamente orgoglioso di esserlo stato, ha spiegato al Pinguino come tra le società minerarie ci fosse una grande concorrenza: proprio l’ostruzione di queste ultime accompagnata da quella dei contadini che non concedevano i terreni per il trasporto a Huelva dei minerali, determinò la chiusura della miniera, divenuta a questo punto (con i minerali che dovevano essere portati fino a Siviglia) del tutto antieconomica.

Ma torniamo alla visita. Una volta sul posto, circondati da colline rosse come il sangue, ci si avvia a una breve galleria (peraltro molto ampia), 200 metri in tutto, che attraversa la montagna per poi sbucare su una sorta di terrazzo che si affaccia su una “corta”, il cratere il cui fondo è invaso dall’acqua dando quindi  vita a un “lago” rosso sangue circondato dalle pareti della roccia, attraversate appunto dalle venature ferrose che attribuiscono questo alone di magia allo spettacolo che si ha davanti agli occhi, una miniera a cielo aperto profonda 85 metri dalla larghezza di circa 330 per 190 metri. Oltre al ferro, c’è la pirite che bruciata (esattamente come lo zolfo) dava l’anidride solforosa (corrode la gomma e le materie plastiche) e, di conseguenza, l’acido solforico.

In questo sito si trova anche il laboratorio del progetto Marte, acronimo che sta per Mars analog reaserch technology experiment, avviato dalla Nasa e dal Centro di Astrobiologia di Madrid: secondo gli scienziati, gli alti livelli di acido che contraddistinguono questo territorio e che conferiscono al Rio Tinto il suo caratteristico colore ruggine sarebbero dovuti alla presenza di microorganismi che si nutrono esclusivamente di minerali e che potrebbero esistere anche su Marte. Percorrendo la galleria la guida vi farà notare i carotaggi con i quali si estrae la roccia della montagna per gli studi. Sempre nella galleria, vedrete dei pali di eucalipto: li hanno piantati i minatori, perché questo albero riesce ad assorbire una notevole quantità di acqua senza spaccarsi. Insomma, in caso di pericolo di inondazione della miniera, bastava toccare il legno: se iniziava a bagnarsi, via!!!

Nella zona, inoltre, si sta pian piano ricostruendo il vecchio villaggio dei minatori. Se volete, poi, ci sono dei facili sentieri che partono dal piazzale dove si posteggia e risalgono questo “buco” rosso: la vista deve essere da inferno dantesco!

Ma ricche di fascino sono anche altre due miniere a cielo aperto che si trovano nella zona e che però non rientrano nel “tour” ufficiale organizzato dal Parco minerario. La prima è Corta Atalaya, a 1 km dalla città in direzione ovest: la miniera è lunga oltre un chilometro ed è profonda  335 metri. Come detto, il luogo non è attrezzato turisticamente, eppure – passando attraverso i varchi nella rete – è possibile affacciarsi sul grande cratere per esplorarlo. Per arrivarci prendete come riferimento un distributore di benzina della Repsol: l’indicazione infatti c’è, ma soltanto per chi proviene da Huelva e non da Minas.

Analogamente, il Cerro Colorado (a 1 km a nord da Minas, sulla strada per Aracena) pur non essendo tappa del “tour” ufficiale va comunque visitato, in quanto offre al viaggiatore lo spettacolo di una grande montagna di colore rosso (a causa dell’ossido di ferro in essa contenuto) attraversata da numerosi siti estrattivi, con anche i resti di quelli che erano gli stabilimenti di lavorazione del materiale estratto, oggi testimonianza di archeologia industriale. In queste miniere si estraevano negli anni Sessanta del secolo scorso (fino a quel momento infatti quella che vi trovate di fronte era ancora una collina…) oro e argento, con una produzione di circa 6.700 chilogrammi di oro e di 140mila chilogrammi di argento, il che fa supporre un trattamento di circa 4,5 milioni di tonnellate all’anno. Ma in queste miniere si otteneva pure il rame attraverso le lavorazioni dei sulfuri. Mentre la visita alla Corta Atalaya è pressoché “clandestina”, lungo la strada che costeggia il Cerro Colorado è stato invece allestito un “mirador”.

Ferrocarril Minero

Quella della Ferrovia Mineraria è un’altra storia straordinaria all’interno della straordinaria storia dell’area di Minas de Riotinto.

Quando la Company ltd inglese acquistò i diritti per lo sfruttamento di questa “comarca minera” andalusa il trasporto del materiale estratto fino al porto di Huelva, sull’Atlantico, avveniva mediante carri, traini di buoi o a dorso di mulo fino a Valverde del Camino (a circa 30 chilometri da Minas), dove i sentieri si incrociavano con la linea ferrata che raggiungeva San Juan del Puerto: lì, il tutto veniva caricato sui barconi che scendevano il tratto finale del Rio Tinto fino al porto di Huelva. Oppure, sempre a dorso di mulo, si arrivava fino a Siviglia e al suo porto fluviale. Gli inglesi decisero subito la realizzazione della ferrovia fino a Riotinto, introducendo così la rivoluzione industriale nell’area.
Furono realizzati complessivamente 300 chilometri di binari, dei quali 84 corrispondevano alla linea commerciale: il via ai lavori avvenne nel giugno 1873 (all’arrivo della Company ltd), l’inaugurazione il 28 luglio 1875. E intanto al porto di Huelva venne avviata la realizzazione di un nuovo molo dedicato sul quale arrivavano direttamente i treni, un molo lungo 1165 metri inaugurato il 23 marzo 1876 e rimasto in funzione fino al maggio 1975.

L’arrivo della ferrovia rappresentò una vera e propria svolta nella vita della regione. E per più ragioni. I binari univano i diversi siti minerari per far convergere il materiale estratto verso un punto di raccolta centrale, dal quale poi partiva verso il porto di Huelva. E questa era la funzione principale, quella per la quale la ferrovia era stata costruita. Ma quella che venne realizzata fu anche una rete di connessione tra i diversi paesi della zona, per facilitare il trasporto dei minatori e di tutte le altre persone, compresi gli insegnanti impegnati nell’opera (itinerante) di alfabetizzazione di quelle genti, secondo il programma sociale avviato dalla Company dopo i fatti del 1888. E, infine, non va dimenticato quello che significò l’arrivo della ferrovia sotto il profilo della coscienza sindacale nell’area: i ferrovieri, si sa, da sempre rappresentano un’avanguardia ed ebbero tale ruolo anche qua, a confronto con un’altra categoria fortemente impegnata quale si era dimostrata quella dei minatori.

Il servizio passeggeri tra i pueblos della comarca proseguì fino al 1968, quando i treni vennero sostituiti dai pullman mentre continuarono a correre i convogli sulla linea principale, fino a Huelva. Fino al 1984.

I vecchi binari non sono però andati del tutto in pensione. La Fundacion Rio Tinto ha infatti recuperato 12 chilometri dell’antica linea che corre lungo il corso del Rio Tinto, ha restaurato alcuni locomotori e alcuni vagoni già della Compagnia mineraria (la quale negli anni arrivò ad avere un parco di 1.300 vagoni e 2mila vagoncini di miniera e fino a 143 locomotori a vapore e 7 elettrici). E così a bordo del trenino si scivola per poco più di mezz’ora (di andata e altra mezz’ora di ritorno più la pausa alla stazioncina con possibilità di passeggiare sulla riva del fiume, con l’odor di zolfo assai forte nelle narici), nella valle, si attraversano i grandi snodi ferroviari dove ancor oggi riposano locomotori e vagoni ormai arruginiti, si ammira lo scendere impetuoso del fiume, con le sue acque cariche di minerali ferrosi che le donano un colore unico. Il viaggio parte dai Talleres Minas, le vecchie officine di riparazione delle locomotive, a due chilometri e mezzo da Minas, sulla destra della strada che conduce a Nerva. Il viaggio turistico avviene con un locomotore diesel (ma in alcune particolari occasioni durante l’anno viene utilizzata una vaporiera).

Informazioni e orari

Essendo il Parco minerario suddiviso in quattro location dalle caratteristiche assai particolari, gli orari delle visite sono assai diversificati con un’unica certezza: chiusura il primo e 6 gennaio e il 25 dicembre. Ancor più lo sono i prezzi dei biglietti che prevedono diversi pacchetti. Il visitatore prenda comunque come punto di riferimento il Museo Minero di Minas de Riotinto, i cui orari sono dal primo gennaio al 15 luglio e dal primo ottobre al 31 dicembre dalle 10.30 alle 15 e dalle 16 alle 19. Dal 16 luglio al 30 settembre chiusura serale posticipata alle 20. Medesimo orario viene osservato dalla casa 21. Per quanto riguarda il treno minerario questi gli orari: dal 7 gennaio al 28 febbraio sabato, domenica e festivi alle 16.30; dal primo marzo al 15 giugno dal lunedì al venerdì alle 13 e sabato domenica e festivi alle 16.30; dal 16 giugno al 15 luglio ogni giorno alle 13.30; dal 16 luglio al 30 settembre ogni giorno alle 13.30 e alle 17.30; dal primo ottobre al 30 novembre da lunedì a venerdì alle 13 e sabato, domenica e festivi alle 16.30; dal primo al 21 dicembre sabato, domenica e festivi alle 16.30; dal 22 dicembre al 5 gennaio da lunedì a venerdì alle 13.30 e sabato, domenica e festivi alle 16.30. Normalmente il treno è trainato da una motrice diesel: il viaggio con il treno a vapore (con quella che viene pubblicizzata come la motrice più antica circolante in Spagna) è in programma ogni prima domenica del mese tra novembre e aprile. Le escursioni alla Peña de Hierro partono dal Museo Minero e vengono concordate sul posto in base al numero dei turisti del giorno. Quanto ai prezzi, ricordando che esistono, come detto, offerte differenziate a secondo di cosa si vuole visitare, è utile sapere che il pacchetto “tutto compreso” ha le seguenti tariffe: adulti 17 euro, bambini fino ai 3 ani 2 euro, bambini dai 4 ai 12 anni 14 euro, anziani sopra i 65 anni 14 euro, gruppi a partite dalle 30 persone 13 euro a testa.

di Guido Barella

(Il Pinguino si è recato a Minas de Riotinto nel gennaio 2011, purtroppo in una giornata coperta e a tratti piovosa. Ha pranzato al ristorante dell’albergo Atalaya con menu a prezzo fisso per 9 euro, immediatamente prima del Museo minerario. Nel suo viaggio è stato accompagnato dai libri “El metal de los muertos” di Concha Espina, edizione 2009 con l’introduzione di Antonio Garnica e Antonio Riaja e ”El corazon de la Tierra”, di Juan Cobos Wilkins, edizione 2008, e dalle guide Andalusia Lonely Planet e Spagna del Sud Rough Guides)

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